L’OLIANDOLO

    Siamo, la Dio mercè, nel secolo de’ lumi; ed è somma ingratitudine il dimenticare l’oliandolo, la cui opera ha il nobilissimo scopo d’illuminarci. Alcune teste calde, che maledicono a tutto ciò che ha muffa di vecchio, han rilegato il povero oliandolo tra i giannizzeri del retrogratismo, volendo che questa portentosa nostra società non si abbia altrimenti a rischiarare che coll’abbagliante elettrica luce o tutto al più col fulgido gasse! Questi adoratori di novità a quattro grana il pezzo (di carta stampata) fanno le bocche ogni volta che sentono parlare del fetido, succido, stomachevole olio, e vorrebbero che come dalle vie delle colte città, da’ pubblici edifici e da’ teatri ebbesi il bando, pur lo avesse dalle case particolari, dove, a grande scandalo della civiltà, regna tuttavia nelle lucerne di ogni maniera, e financo nelle aristocratiche lampade che si addimandano carcels, in cui borosietto e altero sfida la luce stessa del gasse!

   Noi non siam del parere di codesti arrabbiati progressisti, e crediamo in buona fede che l’olio valga ad illuminarci più del gas e della luce elettrica, con buona sopportazione degli elettristi che oggi o domani ci faran sedere a mensa e ci metteranno innanzi una imbandigione elettrica. Alle cose composte e artificiali antepognamo le semplici e naturali, e opiniamo che il succo d’un frutto come l’oliva sia meno succido, meno fetido, meno stomachevole della prima emanazione gassosa di marcite sostanze. Ma non è questo il luogo di discutere un simile tema; onde, ci restringiamo a dire che se più viva e più estesa è la luce del gasse, più salutare è quella dell’olio e meno offensiva agli occhi, al naso ed a’ polmoni.

   Qui non vogliam tener parola della vendita in grosso di questo benemerito figlio dell’olivo, che rende così importanti servigi all’uomo col nudrirlo e illuminarlo. I vasti fondachi dove si smercia l’olio, in grandiose botteghe Ravanas dove questo biondo liquore, racchiuso il lunghi bottiglioni, rassembra ad oro colato; il commercio in grandi proporzioni di questo genere, sul quale tanti si sono arricchiti e si arricchiscono per felici speculazioni; tutto ciò non formerà il subbietto di questo articolo, che imprende a parlar d’una modesta specialità, la quale fa parte degli usi e costumi di questa capitale. Ciò non per tanto, crediam necessario il dire per le generali che tra le provincie del nostro Regno, la Calabrie e le Puglie son quelle che danno i maggiori e i migliori prodotti in olio. Gli oliveti sono la principal sorgente di ricchezza per que’ proprietari; benché la così detta malattia del verme abbia in qualche anno mandato a rovina la raccolta, siccome avvenne il 1858 a Rossano, a S.Vito ed in altri agri della calabra campagna.

   Sogliono i nostri negozianti distinguere le diverse qualità di oli colle particolari denominazione de’paesi donde provengono, come olio di Gallipoli, di Monopoli, di Bari, di Taranto, di Rossano di Gioja ec.

   Sono immensi i servigi che questo importante genere rende al commercio, alla industria, alla igiene e financo alla medicina. Sotto il rapporto della economia, è preferibile a qualunque altro mezzo d’illuminar le nostre case. Esso è l’occhio del povero operaio costretto a protrarre le sue fatiche fino a notte avanzata; e veglia nelle notturne lampade avanti a’ nostri letti nelle ore in che rinfranchiamo nel sonno la spossatezza delle nostre membra.

   Egli è l’oliandolo ambulante quello di cui intendiamo tener discorso. Chi non lo vede ogni dì passar per le nostre vie più frequentate ed anco pe’ più rimoti chiassuoli e ronchi e viottoli? Anzi, se dir dobbiamo il vero l’oliandolo preferisce que’ quartieri e quelle strade dove il lusso non fa vana pompa delle sue merci stravaganti. L’olio è modesto, e l’oliandolo è vie più modesto. Una sola volta l’olio è superbo, ed è quando anima la religiosa lampada del poverello dinanzi alla Santa Immagine della Madonna. Ei sa che al suo posto invidiabile non potrebbe sedere lo sbrigliato e profano gasse.

   L’oliandolo si aggira dunque il mattino e nelle ore vespertine per quasi tutt’i quartieri della nostra capitale. Robusto e di buona salute, come tutti quelli che fanno gran moto, egli cammina, cammina, cammina, come l’ebreo della triste leggenda, e non si riposa che quando le tenebre cadono sulla terra. Allora la sua missione è compiuta; ha rifornito d’olio l’utello del povero e lo stagnuolo del modesto borghese; ha vuotato il suo otre oltre le sue misure, ed ha invece ripieno di monete di rame il suo borsello, che si gonfia a seconda che l’otre si sgonfia.

   L’oliandolo esce il mattino verso le undici: la sua merce di duplice uso non è di quelle che occorrono nelle prime ore del mattino; esse dee servire pel pranzo e per la lucerna; ond’ei non ha d’uopo di uscir per tempo. Noi non sappiamo il dove e come l’oliandolo si provvegga della merce che dee spacciare: nol sappiamo, né il vogliam sapere, giacchè sarebbe questa la maggiore indiscrezione, che potremmo commettere.

   Questo industrioso non isdegna di frequentar le vie campestre e gli aprici colli dove a villeggiar si recano gli eletti del secolo e gli spensierati figli di Adamo. Spesso dal medesimo otre del nostro oliandolo esce l’olio che alimenta la divozione del pio contadino, le faticose veglie dell’operaio, e l’ozio delle dame eleganti. Spesso l’oliandolo medesimo rischiara il misero nicchio al cui fioco lume esala l’estremo fiato l’indigente, che vola a raccogliere il premio promesso da Dio alla povertà rassegnata, e la superba carcel, al cui splendido chiarore s’intrecciano le liete danze de’ricchi.

   L’oliandolo nel suo commercio si contenta d’un parco guadagno, ed è fedelissimo a’suoi avventori, verso i quali usa un linguaggio grazioso e gentile. E porta seco tutta la sua mercanzia in un otre che gli si piega in su gli omeri a foggia di soma e i cui capi sono ripieni della preziosa merce ch’ei spaccia al prezzo giustissimo che corre in piazza, e non rare volte con leggiero ribasso. Cingegli il fianco una fascia in cui sono appiccati i recipienti più o meno grossi a tenore delle diverse misure, e un piccolo imbuto che serve a versar l’olio dall’otre negli stagnuoli de’compratori. [1] 

   L’oliandolo è pieno di unzione ne’suoi modi, nella sua favella: vende volentieri a credito finchè non si accumuli una somma che passi lo sperabile del suo avventore; è galante fino ad un certo limite, ed in tutto il governo della sua vita egli adotta per principi, per istinto, per gusto, per affinità di mestiere, il sistema delle mezze misure. Ma ciò che distingue in supremo grado questo probo industrioso da ogni altro che esercita il suo commercio peripateticamente si è la dolcezza del suo carattere pacifico e dabbene, a similitudine dell’olivo che rappresenta la pace, e della particolar virtù che ha l’olio di mitigar l’acerbezza delle piaghe e di raddolcire gli stessi effetti del fuoco ch’egli alimenta.

   Un’altra particolarità dell’oliandolo si è il suo vestimento che per lo più si compone d’un sol colore, per l’ordinario cenericcio, bigio, o cilestre scuro. Non sappiam divinare la ragione di tal costumanza, tranne che non sia per uno special distintivo della classe.

   La parola ond’ei si annunzia per le strade è semplice, senza tropi esagerati (come soglion adoperarli i venditori d’altri generi), senza aggiunti. Questa parola è il vocabolo nudo nudo che esprime la sua merce uoglie (olio) il quale ei distende alcun poco, dandovi una malinconica eufonia, propria di quasi tutte le voci de’venditori ambulanti cappo i popoli del mezzodì.

                                    FRANCESCO MASTRIANI 

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[1] Vedi figura 1.

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                                                      Figura 1