L’ORA DEI TEATRI

   Voglio tornare sull’argomento dell’ora de’teatri. Affe mia, non so capire perché (forse per barbaro antico sistema di cortigianeria) gli spettacoli hanno da cominciare così tardi, a discapito dei propri interessi e del sonno de’galantuomini. E dico, a discapito de’propri interessi, giacchè due terzi della popolazione non vanno al teatro per la semplice ragione che, dovendo per loro faccende levarsi assai per tempo il domani, non possono andare al teatro in quell’ora in cui pel consueto essi vanno a coricarsi. Vi sembra mo regolare che un galantuomo il quale, come ogni buon cristiano, ha passato buona porzione della sua giornata a lavorare, volendo la sera pigliarsi uno svagamento, aspetti che suonino le tre ore di notte per incamminarsi al teatro, dove giungerà morto di sonno e di stanchezza? Se togliete la gioventù che ama gli strapazzi e la vita notturna, gli uomini che han varcato i quarant’anni sono amici della vita comoda e ordinata secondo le norme dell’igiene, e difficilmente li cogliete a infragnere un sistema che loro riesce giovevole e salutare. Fateci attenzione, e voi osserverete ad un dipresso sempre le medesime facce frequentare i teatri; il che vuol dire che appena una tenuissima frazione della popolazione s’incomoda a perdere il sonno pe’teatri; ovvero ci sono di quelli che fanno del giorno notte e viceversa. Io credo che per favorire una classe di sfaccendati signorotti non si abbia a privare il nerbo della popolazione del divertimento del teatro, che è sempre un gran mezzo di civiltà. A Parigi ed in alte colte capitali di Europa, i teatri si aprono in sul declinare del giorno e talvolta eziandio, massime in està, quando è tuttavia giorno chiarissimo. E certo que’teatri guadagnano il decuplo di quel che lucrano i nostri notturni. D’altra parte, volete una prova della verità di quanto asserisco? Guardate il teatro S. Carlo nelle domeniche di carnevale, allorché lo spettacolo comincia alle due dopo il mezzodì. Vedete se ci è un posto vuoto! Io non dico mo che si abbia a cominciare alle due; ma, per esempio, d’inverno alle sei, e di està alle sette, sarebbe ora da galantuomini. Né mi dite che pel popolo basso e pe’mercadantucci vi sono i casotti che danno spettacoli diurni; giacchè per gli operai e pe’mercadantucci quelle ore diurne sono tuttavia ore di fatica, di traffichi, di onesti lucri, e non possono eglino barattarle a divertirsi; non crediate che la plebe di oggi sia come quella di cinquant’anni fa che pigliava diletto solamente a sentire le grossolane facezie del Pulcinella e del Coviello; oggidì i nostri popolani sono educati a più nobili sentimenti; ed io sono sicurissimo che se le loro facoltà e le ore incompatibili concedessero loro di frequentare il nostro buon teatro di prosa che si addimanda de’Fiorentini, eglino ci acquisterebbero tanto gusto che non vorrebbero andare altrove e adeguerebbero le goffaggini de’casotti. La commissione teatrale pigli nota di queste mie umilissime osservazioni su l’ora degli spettacoli; e, dove le reputi ragionevoli, le adotti senza farsi comandare dalle sconce usanze di cotesti aristocratucci evirati e infiacchiti nello stomaco, i quali, avendo per raffinatezze culinarie perduto l’appetito, cercano di protrarre il pranzo sino alle più tardi ore della sera, e quindi recarsi al teatro e farvi comodamente il chilo. Chi vive una vita oziosa non è degno di appartenere alla civil società; ed è certo cosa vergognosa l’interrogare i suoi gusti e i suoi abiti per imporli come leggi alla parte sana e faticatrice del popolo. Chi non fatica non merita di divertirsi; e, per legge provvidenziale, non si diverte giammai, perocchè la noia lo accompagna dappertutto, e gli rende insipidi e insopportabili quegli onesti sollazzi che tanto sollievo arrecano allo spirito di chi utilmente spese la sua giornata.

                                                                                                      FRANCESCO MASTRIANI