LA DONNA MARITATA

   La fisiologia che imprendo a trattare risguarda esclusivamente la donna della media classe popolare che i francesi dimandano bourgeoise: la donna del gran mondo e la plebea hanno esistenze troppo eccentriche e diffuse, per poterne segnare le caratteristiche specialità. Imploro l’indulgenza del bel sesso, cui d’altra parte io tengo in gran pregio e venerazione, se verrò sponendo alcune cosarelle, le quali, benché in sostanza non rechino loro onta veruna, pure dovrebbonsi da esse schivare, come essendo estremamente ridicole e perniciose, e però contrarie ad ogni maniera di buon vivere sociale.

   Non vi è dubbio che il matrimonio nobilita la donna, dandole a compiere un importantissimo dovere sociale, qual è la prima educazione de’figliuoli, e l’intimo governo di quella frazione dello stato che chiamasi famiglia… La nobiltà che deriva alla donna dal nodo coniugale le impone però tali e tanti doveri, che troppo a lungo porterei questo articolo se volessi un per uno noverarli: l’infrazione di questi doveri viene punita dalla società, con l’infamia, se trattasi di alte aberrazioni, o col ridicolo, quando trattasi di mancanze a’riguardi puramente sociali: Sotto quest’ultima circostanza esaminerò la donna maritata.

   È comune vizio delle donne maritate l’affettare un malinteso disprezzo per tutte le altre del loro sesso restate nubili: questo vizio ha le sue profonde radici nella innata e sempre crescente vanità femminile. Questa specie di preferenza che il caso, la fortuna, e spesso gli intrighi han loro accordato, addivien per esse una inesauribil sorgente di albagia e di vanagloria, come se tutte le altre donne che non sonosi maritate fossero indegne di starsi in società con loro, eletta schiuma del sesso. Vizio perniciosissimo è questo, cagione il più sovente de’mal combinati e cattivi matrimoni; dappoichè quella madre di famiglia che sa per intima coscienza quanto disprezzo ella professa per le vecchie nubili, trema che le sue figliuole non abbiano a rimanersi tali, e si affrettano di abbandonarle a chiunque si presenti col brevetto di marito, foss’egli più maligno d’un serpe e più pezzente d’un monello. D’altra parte chi non sa quanto è raro a’dì nostri un buon matrimonio; e quanto gli uomini più che le doti dell’animo e dell’ingegno, apprezzano nelle donne la dote pecuniaria! E che colpa c’è n’ha una onesta fanciulla se resta nubile, perché la fortuna non le dette in retaggio un palazzo e una rendita da gettar nella gola di un avido marito? Oh quante volte la virtù si cela modesta e riservata in fondo al cuore d’una donzella che tiensi tutta umile e taciturna al fianco di pettoruta donna, che per la sua qualità di maritata si permette motteggi e discorsi troppo mordaci e insolenti.

   Altro vizio di questa classe di donne si è l’abusico comando che assumono sopra quelle infelici vittime del bisogno dette volgarmente serve o fantesche; vizio non meno biasimevole dalle leggi dell’umanità, che dalla carità cristiana, la quale ci comanda di amarci l’un l’altro come fratelli. Se per avventura una di queste tapine si fa lecito di non dar l’eccellenza o l’illustrissima alla padrona, costei monta in furia, e senti gridarla e schiamazzare con alquante di queste parole: oh la stracciata! Oh la fetente! Mi hai tu presa per una tua pari che osi chiamarmi col mio nome? Non sai che mio marito è nipote di Barone? Un’altra volta che ti fai scappare codeste insolenze di bocca, ti mando giù per le scale a furia di calci. Oltre a ciò queste donne maritate non sanno in altra guisa comandar qualche cosa alle loro serve che intuonando loro all’orecchio il sempieterno e tremendo olà, fate questo, olà, prendete questo etc. Il comando è la visione dorata che fa sovrammodo desiderare il matrimonio alle fanciulle: la vanità e l’ambizione governano il mondo femminile forse più che non governano il mondo maschile.

   Che dirò poi dell’invidia, questo serpe velenoso che rode bruttamente il cuore di quasi tutte le donne, ed in particolare, delle maritate perché più punzecchiate dalla viperea vanità? l’amicizia che regna così di rado tra gli uomini, non è sentimento che può albergare in petto di donna, imperocchè anche le più generose non sanno vedere le loro amiche che con l’occhio del dileggio e dell’invidia. Uno scialle, una mantellina, un merletto, un gioiello, possono determinare un odio eterno ed implacabile tra due donne, le quali, a giudicare dalle apparenze, direste due tenere e sviscerate compagne. Quando una donna maritata va a far visita ad un’altra parimenti maritata, è un tacito duello che va a dichiararle, una lotta di piccole vanità, di piccole miserie, nella quale nessuna delle due cede il campo all’altra.

   Ridicolissimo ed universal vizio è eziandio delle donne maritate quello di parlar continuamente de’loro mariti e de’loro figliuoli con le persone che elleno vanno a trovare, o con quelle che rendonsi in casa loro a visitarle. Questa consuetudine è talmente opposta alle maniere del buon vivere sociale, e per disgrazia è così prepotente nelle donne, che io raccomando a loro caldamente di bandirla dalle conversazioni non pure con gente estranea, ma con le familiari altresì; imperciocchè è insopportabile, noiosa, imprudente, vana e stupida quella donna che non sa toccar altri parlari, tranne quelli riguardanti il marito o i figliuoli. Eppure rarissime sono quelle donne che non pecchino di siffatta vanità. La vera donna che ha ricevuto buona e squisita educazione si astiene di presentarvi ad ogni pie’sospinto le virtù del marito o dei figliuoli, che anzi si contenterà di amarli nel fondo del suo cuore, senza decantare ad ogni tratto le ricchezze o il valore del marito, la bellezza o l’ingegno de’figliuoli. Non parlo del danno che può derivare alla pace domestica da così fatte confidenze con gli estranei, i quali per la natural cattiveria del cuor umano, non gioiscono certamente e non applaudono nel loro cuore alle sperticate lodi che si fanno in loro presenza. Non parlo neanche di quelle donne che si fanno lecito parlar male delle loro intime famiglie, perché queste, anche se giustamente muovono tali lagnanze, peccano contro ogni legge umana e divina.

   Ascoltate la conversazione di due donne maritate, vi sembrerà che dapprima si stabilisca tra loro un dialogo; no signori, ciascuno di loro esegue un monologo eterno, anzi, un panegirico ridicolo e curioso della propria famiglia: un uomo di retto senno non può reggere neanche un minuto a que’discorsi che battono sempre sovra un chiodo. Per amor del cielo, donne mie, per amor di voi stesse, per amor de’vostri figliuoli, ponete mente di non inciampare in questo intollerante vizio, se non volete rendere ridicole voi stesse, e le persone tanto care ai vostri cuori. Guardinsi ancora le donne maritate dal portare dovunque i loro figlioletti, i quali non possono recare che incomodo e disturbo nelle case, e rarissime volte piacere. non vi fate illudere, donne mie, dalle carezze e da’baci che si danno dagli estranei a’vostri figliuoli, le sono finte dimostrazioni di compiacimento e di affetto; e quegli stessi che sì largamente le prodigano, maledicono in loro cuore la noia che siete venute a dar loro co’vostri ragazzi. D’altra parte i figliuoli e massime del sesso gentile, voglionsi avvezzare di buon’ora a non fare troppa comunella e società con altri della medesima loro età, imperciocchè la maggior parte de’vizi che si contraggono ne’primi anni della vita, non riconoscono altra ragione che la stupida imitazione dell’infanzia per quelle cose che hanno più del maligno.

   Da ultimo, e questo io dico e raccomando colle lagrime agli occhi alle buone madri di famiglia, chè da questo precipuamente hanno origine la maggior parte de’mali che infestano la società, cioè che bandiscono una volta quella colpevole e funesta condiscendenza per i capricci de’loro teneri figlioletti. Se l’uomo non si avvezza fin dalle fasce alla imperiosa necessità delle astinenze d’ogni sorta, o per meglio dire se la pazienza per le privazioni non gli si trasfonde, direi quasi nel sangue, qual via di delitti o di pianto non gli si prepara nell’avvenire?

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                     FRANCESCO MASTRIANI