LA CIECA DI SORRENTO E LA SCRITTURA NARRATIVA DI FRANCESCO MASTRIANI PRIMI SONDAGGI LINGUISTICI

   INTRODUZIONE

.      A mio padre che non si è mai arreso

      Ma si è piegato docile alla volontà di Dio.

      Diverte a malo, et fac bonum [1]

      (Allontanati dal male, e fai del bene)

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  1. FRANCESCO MASTRIANI

   C’era, invece, allora un romanziere di appendici, che […] rimane il più notabile romanziere del genere, che l’Italia abbia avuto: Francesco Mastriani. Si fanno tante ricerche e saggi critici su argomenti poco interessanti; ma nessuno ha pensato ancora a dedicar un saggio al povero Mastriani che lo meriterebbe […].[2]

   A distanza di oltre sessant’anni dalle pagine della Letteratura della nuova Italia, le parole di Benedetto Croce, da cui prendiamo inizio, permettono di percepire in modo immediato proporzioni ed entità di una lacuna tuttora non colmata dagli studi linguistici, a dispetto dell’imponente portata del caso, letterario e umano “Mastriani”: scrittore affascinante e coralmente compianto, vittima conclamata degli immutabili meccanismi editoriali.

   La possibilità di spunti e riflessioni che l’impressionante produzione di questo “forzato della penna” suggerisce è di impotenza tale da non poter essere pienamente soddisfatta in queste pagine, che si propongono tuttavia come una prima ricognizione, preparatoria di un lavoro complessivo sulla lingua del più fecondo e amato quanto sfortunato “appendicista” napoletano; cui, va detto subito, il successo clamoroso ottenuto a partire dalla pubblicazione nel 1851 dell’immediatamente divenuto proverbiale La cieca di Sorrento, assicurò sì una incredibile fortuna nella ricezione popolare, ma non l’attenzione o il rispetto della critica, né valse a liberarlo dalle pressanti condizioni di precarietà economica che lo avrebbero tormentato per tutta la vita.

   In effetti, il “fenomeno” Mastriani è stato indagato solo in parte, e in sostanza limitatamente agli aspetti più prettamente ideologici, storici, sociali (in particolar modo relativi alla cosiddetta “trilogia socialista”), di costume e letterari: non sono quindi mancati, seguendo la multiforme vena della sua produzione, studi su Mastriani autore teatrale, maestro del fortunatissimo genere del romanzo d’appendice, e autore di romanzi storici; su Mastriani scrittore socialista, popolare e verista. Molti di questi aspetti, però, meriterebbero ulteriore approfondimento (con relativa e più puntuale analisi per quanto riguarda fonti, temi, elementi di continuità e innovazione della produzione mastrianesca; a questo riguardo, ancora poco o per nulla studiato pare l’indiscutibile ascendente esercitato sullo scrittore napoletano dal capolavoro di Manzoni [3]), e molti altri ancora restano del tutto inesplorati: si pensi alla instancabile collaborazione giornalistica, al filone “comico-umoristico” e ai romanzi di taglio noir, per i quali si è parlato anche di Mastriani iniziatore del genere “giallo” o alla scrittura (e ri-scrittura) teatrale. Manca ancora uno studio sulla ricezione all’estero dei suoi romanzi, tradotti e ripubblicati in varie lingue, e, viceversa, della sua attività di traduttore e dei suoi rapporti con testi di altre letterature. Davvero ben poco, infine, a parte qualche breve intervento, è stato dedicato agli aspetti più squisitamente linguistico-stilistici, e quindi allo studio del linguaggio narrativo (e della poesia) e al lessico (a es. il serbatoio inesauribile di forestierismi, tecnicismi dell’ambito medico e giudiziario) di Mastriani; lacuna certamente grave, che del resto va a sommarsi a quella più generale, relativa all’importanza della paraletteratura o scrittura popolare nel panorama linguistico del Secondo Ottocento: campo inspiegabilmente ancora poco indagato, considerato il «larghissimo influsso che questo tipo di produzione ha esercitato su vaste categorie di cittadini di diversa estrazione sociale, alfabeti e no, sia uomini che donne, in campagna come nelle città».

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   Il saggio continua con altri capitoli:

  1. LA LINGUA DI MASTRIANI
  2. PIANO DI LAVORO E FINALITÀ DELLA RICERCA
  3. LA CIECA DI SORRENTO
  4. VARIANTI TESTUALI
  5. ANALISI LINGUISTICA
  6. PRIME CONCLUSIONI

[1] A firma di Francesco, quale Motto della famiglia Mastriani, il detto campeggia a c. 1r del codice autografo intitolato La Famiglia Mastriani, che qui pongo ad epigrafe, quale emblematico della personalità dell’uomo, e quindi dello scrittore. Il manoscritto, di cc. 51, fu donato alla Biblioteca Nazionale di Napoli nel 1848 dal nipote Emilio Mastriani, e si conserva nel Fondo Lucchesi Palli, segn. L. P. 0002 […] Ringrazio tutte le persone e tutti i “Mastriani” che ho importunato (e importunerò) in vario modo, nel tentativo di recuperare notizie e materiale utile per le mie ricerche.

[2] B. CROCE, La vita letteraria a Napoli dal 1860 al 1900, «La Critica», VII, 1909, pp.405-423, a p.416; il saggio poi confluirà in appendice a La letteratura della nuova Italia, IV, Bari, Laterza, 1915, pp. 233-319.

[3] Numerosi sono infatti gli spunti manzoniani nella produzione di Mastriani, benché come si mostrerà, il romanziere napoletano mostri scarsa sensibilità nei confronti delle scelte linguistiche adottate dalla Quarantana. Innegabile, a esempio, la somiglianza tra fra Cristofaro e il sacerdote, padre Ambrogio, che sostiene l’umile Lucia nel romanzo Il mio cadavere, in cui tra l’altro si ripropone il tema dell’eco delle campane in lontananza, all’alba, che segna il punto di scioglimento della tensione notturna e del pentimento dell’anti-eroe; così pure la preghiera che prorompe inarrestabile sulle labbra di Gaetano Pisani, alias Oliviero Blackman, alla visione notturna di Beatrice raccolta in preghiera, in La cieca di Sorrento, richiama il ricordo dell’invocazione di Lucia, punto di partenza del turbamento interiore dell’ Innominato. Densa di ricordi manzoniani del resto è già l’ode per la morte della madre, primo componimento del giovane Francesco datato 8 dicembre 1836; ne riporto come esempio brevissimi stralci: […] e le deserte coltrici / Ove il suo fral posò; / Qui quella pia con placido / viso portò gli affanni; / Rendev’a Dio quell’anima, / Segno d’immenso duol.

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   NADIA CIAMPAGLIA (Napoli, 1969), dottore di ricerca in Filologia Romanza e Linguistica (IX ciclo, 1998) e in Scienze Umanistiche / Teoria dei Linguaggi (XXIV ciclo, 2013), è abilitata alle funzioni di professore associato in L-FIL-LET 12. Docente di ruolo di materie letterarie e latino nei licei dal 2000, è stata docente a contratto di Glottologia e di Linguistica Italiana (2000-2003) e di Glottodidattica e Linguistica Italiana (Roma, Lumsa, 2013-2016). Attualmente è assegnista di ricerca.