PARIGI

   Ville gagnèe, ville prise… ed è cosa facilissima! Intendo parlare di Parigi, del nostro Parigi cui inonda e sommerge un’onda di visitatori; invaso da tutte le nazioni e da tutt’i re del mondo abitato; abbandonato, che dico? abbandonandosi all’occupazione straniera, esso stesso con gioia presenta in piatti d’oro le sue chiavi agli amici ed ai nemici.

   Tra questi differenti popoli, nostri conquistatori desiderati e ben venuti, non ve n’è forse alcuno, il cui successo sia più splendido ed il cui giogo ci sembri più amabile, come la nazione americana, la Repubblica degli Stati-Uniti. Non v’ha dubbio che alla grande armata cosmopolita, alle falange spedizionarie della coalizione universale, essa ha fornito il suo largo contingente di soldati di linea, di legioni barbute, di uomini insomma; ma quel che specialmente costituisce, a parer mio, la sua abilità, il vero segreto della sua forza, è di avere aggiunto ai suoi grossi battaglioni, e di far manovrare in testa e nei fianchi delle sue colonne d’attacco, un corpo scelto per eccellenza, un reggimento di cavalleria leggiera e brillante, montato intendo dire ed equipaggiato a perfezione, parlo del grazioso, irresistibile squadrone delle sue amazzoni, delle sue mogli giovani ed eleganti, delle sue misses svelte, bionde, seducenti.

   Ultimamente mi fu dato di passare una compiuta rassegna di queste vittoriose.

   Collo scaduto maggio si chiudeva la serie dei ricevimenti sì giustamente vantati dal generale Dix, ministro del Nuovo Mondo democratico, il quale al certo può stare a fronte per cortesia di tutt’i diplomatici della vecchia Europa, e che per la dignità del suo contegno, per le sue sembianze, per la sua testa canuta e pel carattere ed espressione della sua fisionomia nobile e grave, trovo avere una certa rassomiglianza col signor Guizot, non come ce lo rappresentano oggi i fotografi, ma come un artista defunto una volta lo dipinse per la posterità.

   Sono certamente quattro belli e spaziosi luoghi per una elegante ospitalità i quattro grandi saloni dell’albergo alla strada di Presbourg, occupati dalla legazione d’America, e le cui finestre sporgono sulla piazza de l’Etoile. Nulladimeno erano ultimamente oppressi da immensa calca, ma la festa riuscì, sotto tutt’i rapporti, irreprensibile: la gente vi si divertiva assai… e vi affogava.

   Che giovialità! che movimento! Un colpo d’occhio maraviglioso! non ricordo di avere in nessun luogo, in nessuna adunanza pubblica incontrato un concorso, un insieme di belle donne a quella che presentava questa riunione relativamente intima e privata e queste jolies femmes lo sono di una maniera loro propria, ricche per se stesse: non è difficile che si valgano delle nostre, ma la loro imitazione non ha sembianze di copia; esse conservano nel portamento, nell’amabilità, nell’umore e nel costume un non so che d’individuale e d’indipendente, d’originale e di nazionale, che loro appartiene incontra stabilmente, e che le contrassegna nettamente, le distingue, le adorna e le sublima. Non dico niente delle capellature, quantunque ne avessi veduto delle magnifiche; ed a questo proposito chi può lusingarsi d’una perspicacia infallibile? Ma la salute si può essa fingere? Ora, la florida salute, il bel sangue, la pelle, i denti, gli occhi si mostravano in quelle come la natura li dà, sfidando l’arte di contraffarli. Vivacità, contorno, franchezza, e (se questa parola può far cambiar di sesso) bonomia cordiale, grazie ardite e piccanti, che forse sorprenderebbero le nostre pensionarie del Sacro Cuore, e sconcertano un poco le nostre tradizioni; ma ognuno vi si abitua presto e la sorpresa è più dilettosa. Ci avvezzeremo anche al gesto virile e proprio un tempo del cavaliere, riservato almeno alla rara manifestazione dei più caldi e teneri sentimenti; ci avvezzeremo alle strette di mano, che, comunque un poco facile e prodigalizzata, pure aggiunge prezzo ad un’affettuosa accoglienza, e malgrado che sia comune, ha ancora il merito d’una dichiarazione amichevole, e la dolcezza d’una prima carezza. Niente di meglio, in somma, per rompere il diaccio, e in tutto stabilire tra incogniti la corrente diretta della simpatia morale e fisica. Dov’è il male di siffatto usi piacevole al cuore? per me non ne dirò male al certo. Arrischieremmo noi per avventura nella nostra bassa, fredda e brutale vita moderna di troppo moltiplicare tra i popoli e gli uomini, o da un sesso all’altro, i mezzi di civile ravvicinamento, i punti di contatto al tempo stesso onesti e piacevoli, i legami di sciabilità? Del resto, non si può egli evitare l’eccesso in tale pratica familiare? Perché un galantuomo deve abusare, invece di usare, d’un favore femmineo, quando è al caso di stringere una bella mano che gli si viene ad offrire? Tutto in questo mondo è quistione di misura e di gusto! non v’ha piacere senza la sobrietà, senza la delicatezza, e in questo come nelle altre cose gli abili e i felici saranno i discreti.

   Vi nominerò io le stelle di quest’ultima serata? A qual pro? Sarebbe una lunga lista, ben nota a chiunque segua da presso o da lontano il movimento dell’alta vita parigina. Siccome avete osservato, è da New-York, in parte, che ci vengono al presente le nuove reclute, le corifee e le incantatrici del nostro high life. Sopra quel turf e in quello steeplechase, le graziose figlie di Jonathan han preso la corda. Ciò è incontrastabile, e mi sembrano, tra le altre rivali, battere comodamente le loro altere cugine, De l’antique John Bull blende postèritè.

   A vederle ballare, sere sono, in casa del rappresentabile officiale della loro prospera e potente patria, queste Napee transatlantiche, di cui madamigella Dix è diversamente degna di guidare il coro, ho passato, lo confesso, due ore deliziose del mio spirito fronte a del presente spettacolo questi antichi ricordi si affacciarono alla mente.

   Io pensai alle prime americane che apparvero in Francia sotto Luigi XIII nel 1613. Non erano che due e venivano dalle spiagge del Marugnone con quattro maschi della loro specie, che i nostri buoni antenati con isdegno trattavano da Topinambouz. Un gentiluomo bretone, M. de Ratilly, il condusse tra noi come animali esotici, ed un marino di Dieppe lor serviva d’interprete. Quando essi traversarono Rouen, furono vestiti alla francese, e così malvestiti si dettero a fare dei tentativi coreografici. Malerba ce ne fece una cattiva descrizione: «Essi hanno, diss’egli, ballato una specie di trescone senza tenersi per le mani e senza muoversi dai rispettivi posti, il loro violino è una specie di zucca, come quella di cui si servono i pellegrini per bere, e nella quale era una specie di chiodi o di spille!».

   Le loro povere compagne non riuscirono neanche a conciliarsi la stima: «Ho molto pregato (scriverà il poeta) una principessa per farla andare in sua casa, ma non è stato possibile di vincere la sua ostinazione. Ella dice che, per quelli, è ben contenta di dar loro un pranzo, ma che le signore loro mogli non possono essere che delle…, e che perciò non le vuole in casa.»

   Dopo due anni un certo du Prat portò d’oltremare due altre americane e le pose in mostra… «Esse son tutte nude, locchè impedisce di vederle ancora: egli le fa dipingere secondo le fogge del paese. Vi è una donna ed una figlia di nove a dieci anni. La donna dipingerà la figlia, non potendo tanto eseguire la figlia.» Così parlava uno scioccone di Parigi or sono 252 anni!

   Del nuovo mondo molte persone presso di noi non sapevano ancora niente di meglio circa due secoli più tardi, e n’è pruova il seguente racconto d’uno dei nostri contemporanei, morto il 19 marzo 1863:

   «Uno dei ricordi della mia infanzia, diceva il conte di Neuilly, è un ballo, è un ballo in cui io fui menato in casa della contessa di Tesse, amica di mio padre di tutti i Noailles. M. de La Fayette vi si presentò con un selvaggio, che egli aveva condotto d’Amèrica: una vera bestia addimestichita con un anello al naso, con un pennacchio in testa, con un osso passato nelle orecchie a guisa di pendenti, le gambe e le braccia tatoutèes: tutto il suo costume consisteva in una cintura di piume sopra una fascia color carne.

   Egli era orribile da fare spavento! Ma ciò che finì di spaventarmi fu il ballo du scalp e i gesti del selvaggio, che andava e veniva col suo tomahawk in aria, col quale minacciava, accompagnandosi col canto. L’aiutante di campo de M. de La Fayette, giovine e gentile uffiziale, eseguiva la stessa danza del selvaggio, di cui imitava i gesti. Io mi era rannicchiato dietro madama de Tolt… osservando una scena che non mi rallegrava per niente.

   Ti capisco, maligno lettore! A qual proposito, dirai, queste reminescenze grottesche, e qual rapporto incongruente potrebbesi stabilire tra questo ieri e questo oggi, i Topinamboux di Tarilly della baronessa de la Fayette e le belle persone, che con ragione hai ammirato?

   Credo superfluo difendermi; non posso neanche esser sospettato d’un ravvicinamento che farebbe poco onore al mio saper vivere. Grazie a Dio, non sono sì estraneo alla storia ed alla etnografia da tenere i cittadini di New-York o di Washington pei nipotini del Gran Serpente dell’Occhio di Falcone. Mi è sembrato solamente curioso di ricordarvi ciò che ottant’anni sono i nostri padri, in generale, avevano potuto vedere e conoscere di questa lontana America, donde ora arrivano, con tutte le maraviglie di una fiorente civilizzazione, squisiti tipi della bellezza femminile, l’ornamento dei nostri salotti, la gioia dei nostri occhi, le regine attuali della eleganza e della moda.

                                                 X.

                                                               FRANCESCO MASTRIANI