POSTFAZIONE L’OCCHIO DEL MORTO

   Questo è un romanzo con una marcata sfumatura gotica: «Il morto avea per altro gli occhi spalancati in tutta la loro ampiezza […] [1] L’occhio sinistro del morto avea tutto veduto! [2] Il marchese adunque non era morto che apparentemente! egli dunque avea tutto veduto con l’occhio sinistro, ch’era rimasto spalancato!» [3]

   La trama è abbastanza semplice: due storie d’amore, contrastate in parte da problemi economici, che si concludono però in maniera positiva.

   Diverse le tematiche affrontate in questo romanzo, in primis l’avarizia, della quale il protagonista, don Pomponio Gomez, ne è una manifestazione evidente. L’autore cita pure un suo lavoro I Vermi, infatti l’inizio di un capitolo è dedicato a una delle più grandi piaghe sociali di quei tempi: «parlammo delle diverse categorie di industriosi, che ogni giorno debbono risolvere il problema di carpire un cinque franchi dall’altrui tasca, senza correre il pericolo di essere ghermiti pel collo da un poliziotto o di essere invitati a presentarsi dinanzi al pretore od allo ispettore di polizia del quartiere». [4]

   Tra i protagonisti del racconto c’è un prete, un gesuita, e a tal proposito è interessante un commento dello studioso Francesco Guardiani: «Ultimo romanzo della “serie gesuitica” presentata in questa sede è L’occhio del morto del 1887. Evito qui il riassunto della trama perché m’interessa solo mettere in evidenza la caratterizzazione particolarmente significativa del gesuita di turno, che si chiama Padre Alfonso Germano. Egli è il consigliere di Don Pomponio Gomez, ricchissimo avaro, vecchio decrepito, sul letto di morte, per il quale il denaro è linfa vitale. Non muore, infatti, per pura forza di volontà, perché non riesce a staccarsi dalle sue ricchezze, che naturalmente son bramate da Padre Alfonso, che ha fatto di tutto per far chiudere in un convento la legittima erede. Perentorio è il giudizio sul prete: «Era un fino ipocrito, un gesuita perfetto da digradarne il Rodin di Eugenio Sue [5]. Questa, se ce ne fosse bisogno, è un’altra conferma del Mastriani lettore del Sue. Il Rodin ricordato è il gesuita dell’Ebreo errante». [6]

   «Ma un altro volume che ebbe sempre tra le mani, come cristiano convinto, fu la Bibbia, e le massime di quel codice eterno si trovano diffuse in tutti i suoi scritti» [7] ; così scrisse il figlio dello scrittore, Filippo, nel suo lavoro dedicato al padre Francesco, e anche in questo romanzo, viene citato un verso biblico che scrisse il profeta Isaia, che dall’empio Manasse fu fatto segare in due parti con una sega da legno, e Mastriani fa i voti che le parole sublimi del profeta trovino eco nel cuore de’ricchi: «Spezza all’affamato il tuo pane ed i poveri e i raminghi menali in tua casa…».[8]

   Chiaro il pensiero che l’autore ha su coloro che fanno il voto di castità: «La missione della donna su la terra non è quella di chiudersi tra le fosche e squallide muraglie di un chiostro. A più nobile compito volle Iddio che ella si consacrasse. La casa debb’essere il suo tempio; la famiglia il suo culto; il matrimonio il mezzo di santificarsi ne’doveri di moglie e madre. Il voto di perpetua verginità per le donne, come di castità per gli uomini, è al di sopra delle umane forze; e può essere il privilegio di poche anime elette». [9]

   Mancano i riferimenti storici, ma cita alcuni autori letterari: «Bruciate pure i libri al piccolo Petrarca, e questi non riuscirà meno l’immortale cantore di Laura» [10] Oppure: «Non portava peli sul viso, che avea dello scialbo, del buon uomo, del semplicione, del messer Nicia della Mandragola del Machiavelli». [11] E infine due autori francesi, il già citato Sue, e ancora : «Era l’opera I Martiri del visconte di Chateaubriand, edizione illustrata con vignette in acciaio». [12] Era questa una delle opere letterarie a cui Francesco Mastriani era particolarmente legato: «I libri che lesse moltissime volte furono tra gli altri: La nouvelle Eloise di Rosseau; i Martiri di Chateaubriand; tutti i romanzi di D’Arlincourt, la Matilde di Sophie Cottin, la Divina Commedia di Dante, le tragedie di Shakespeare e di Alfieri».  [13]

   Una critica alla legislazione civile nel regno di Napoli di quel periodo: «era ancora un incongruo ammasso di viete e assurde prammatiche. Il codice Napoleone non ancora regolava le sorti delle famiglie; e il retaggio paterno era ancora in balia del dispotismo, del capriccio, delle passioni, degli odii e delle simpatie del testatore». [14]

   Anche in questo romanzo l’autore non manca di lanciare l’anatema contro i padroni di casa, una categoria di esseri umani, che rese difficile anche la sua esistenza: «Sciocca, insulsa, tirannica soperchieria tra le mille ed una che usano questi uomini di tufo, di calce e di lapillo che sono i padroni di casa». [15]

                                                           ROSARIO MASTRIANI

.

[1] Francesco Mastriani, L’occhio del morto, Napoli, Guida Editori, 2023, cap.X. pag.116.

[2] Ibidem, cap. X. pag.120.

[3] Ibidem, cap.XI. pag.123.

[4] Ibidem, cap.XIII. pag.142.

[5] Ibidem, cap.VIII. pag.92.

[6] Francesco Guardiani, Napoli città mondo nell’opera narrativa di Francesco Mastriani, Firenze, France Cesati, 2019,  pp.135-136

[7] Filippo Mastriani, Cenni sulla vita e sugli scritti di Francesco Mastriani, Napoli, L. Gargiulo, 1891, pag.7.

[8] Francesco Mastriani, L’occhio del morto, cap.III. pag.38.

[9] Ibidem. cap.V. pag.62.

[10] Ibidem, cap.I. pag.13.

[11] Ibidem, cap.XIII. pag.141.

[12] Ibidem, cap.XIX. pag.204.

[13] Filippo Mastriani, Cenni sulla vita e sugli scritti di Francesco Mastriani, Napoli, L. Gargiulo, 1891, pag.27.

[14] Francesco Mastriani, L’occhio del morto, Napoli, Guida Editori, 2023, cap.VIII, pag.91.

[15] Ibidem, cap.XXI. pag.237.