Francesco Mastriani
tra antropologia e fisiologia
Risulta quanto mai strano che la critica mastrianea non si sia soffermata su questi due termini, di cui è intrisa l’opera dello scrittore napoletano. Eppure, ancora una volta, egli aveva ragione: un napoletano non può non essere antropologo e fisiologo, ovviamente nell’accezione ottocentesca che lo scrittore attribuiva a questi termini.
Colpisce, infatti, nella sua opera, l’attenzione maniacale, che gli farà scrivere molte pagine, ad esempio, sul sigaro, sulla camicia, che un altro autore avrebbe preferito certamente saltare per arrivare al dunque del racconto. Ma Mastriani amava questi spartiti, come la ricorrente fisiologia dell’amore e, non temendo talvolta di contraddirsi, si abbandonava a un racconto, che evidentemente lo prendeva e confermava le sue eccezionali doti di osservatore e pensatore.
Egli ben sapeva che il letterato, scrivendo, a differenza dello scienziato, può fare tutto; ecco perché molte sue pagine, intrise di ironia, vanno lette e interpretate con quella libertà selvatica, ma sempre generalmente controllata, che egli si attribuiva e che andava ben oltre quella categoria di realismo, verismo, di cui egli rivendicava la italiana, forse meglio, napoletana paternità.
Eh sì, perché a Napoli, più che in altre parti del mondo, la realtà è così vera e viva, che sarebbe un oltraggio non lasciarsene affascinare, per usare un termine partenopeo, che a Mastriani sarebbe certamente piaciuto, affatturare.
Attenzione, però. Chi ha sangue napoletano nelle vene sa che per l’homo neapolitanus la vita ha senza dubbio un fascino avvolgente, ma non gli basta, perché egli, alla fine, vuole capire, come mi confidava uno scrittore-attore napoletano verace, e per capire bisogna necessariamente immergersi in quella che Mastriani definiva Notomia morale, la quale in narrativa e, nello specifico, nel teatro può trovare una valvola di sfogo e di sviluppo.
Chi leggerà queste pagine resterà sorpreso da dichiarazioni estreme e a volte paradossali, che non possono ovviamente essere razionalmente condivise, ma Mastriani, come la maggior parte dei nostri autori, è uno scrittore estremo, che ama andare oltre le righe, per recuperare una umanità assoluta, autentica, che tutta gli apparteneva, abbandonandosi, con una sfrontatezza tutta partenopea a una ironia, che alla fine costituisce l’essenza di questa narrativa, che amava letterariamente contraddire il senso comune.
Egli era fondamentalmente uno scrittore popolare, che molto sarebbe stato gradito a ideologi, che nella loro vita hanno posto il popolo in primo posto, insomma, un Masaniello letterario, che si divertiva a prendere in giro lo snobismo, la supponenza, in una sola parola il potere che genera solo mostri e dimentica gli inalienabili diritti della natura, alla quale, sola, egli, antropologo e fisiologo, si chinava, perché la sentiva vibrare nelle sue vene, soprattutto quando scriveva e si sentiva più che mai suo mediatore e interprete.
La sua è, dunque, una letteratura biologicamente, “fisiologicamente”, naturale e, leggendolo, provando a capirlo, si riporta la costante impressione che egli voglia scrollarsi di dosso una cultura scolastica e libresca, di cui tra l’altro egli era indubbio maestro, per un ritorno, quasi evangelico, alle origini, alle scaturigini di un mondo, capace ancora di provare sentimenti ancestrali, ma autentici.
Egli mostra di odiare ogni sovrastruttura, ogni formalismo e si diverte, come appena accennato, a prendere in giro il mondo, nei suoi orpelli, nelle sue smancerie, nelle sue cicliche convenzioni, che per un antropologo e fisiologo non possono che far sorridere. Ecco perché, egli le propina al suo affezionato popolo di lettori, i quali, come lui, non possono fare a meno di sorridere, prediligendo la sostanza alla forma, e venendo, in vari momenti, informati e istruiti su ciò che accade in città, la più creativa e sorprendente del mondo, nel bene e nel male, suggerendo, anche in tal senso, una sorta di Napoli alternativa, né regolare né ufficiale, ma appunto popolare e, soprattutto, quotidiana, dove la realtà spesso supera la fantasia.
A ben pensarci, faceva bene ad ascoltare, come fa qualche volta chi scrive, i suoi concittadini, intelligenti, i quali a volte sprecavano il loro genio semplicemente vivendo. Alle loro parole, ascoltate a volte per caso, come sempre chi scrive, egli sentiva di dare una meritoria eternità, salvandole dalla loro precaria provvisorietà e, per poterlo fare, doveva scrivere, scrivere, raccontare i cunti de li cunti, sospesi tra realtà e fantasia, ma sempre capaci di coinvolgere, nonostante qualche acrobazia linguistica, i suoi lettori, i quali non si sarebbero mai stancati di leggere le sue parole, di seguire i suoi racconti, per coglierne lo sviluppo e l’imprevisto finale.
Certo, talvolta sembra che l’autore, come sta accadendo recentemente in alcuni films americani, abbia quasi fretta di terminare, di arrivare a una conclusione, forse stanco anch’egli e preoccupato di affaticare i suoi cari lettori. Ma i racconti, a volte, richiedono qualche tecnica del non finito, che talvolta Mastriani applicava, conferendo alla sua narrativa un’atmosfera di mistero, che nella sua città domina da sempre.
Mastriani, diciamolo una volta per tutte, non ha mai tradito la “sua” città e, pur denunziandone i misfatti, anche a suo stesso danno, non ha mai potuto fare a meno di amarla.
Pochi scrittori, come lui, hanno mostrato di conoscerla nei suoi quartieri, favorito certamente dal fatto che ai suoi tempi era composta da soli 600.000 abitanti, non pochi per l’epoca, ma comunque, molto meno numerosi ovviamente degli attuali. Napoli per lui era un corpo da amare, come quello di una sirena tentatrice, di omerica memoria, ed egli lo ha attraversato con una sempre discreta, rispettosa, sensualità, altro elemento poco indagato della sua narrativa, quanto mai convinto che anche una città possiede una sua fisiologia, una sua notomia, come forse a lui sarebbe piaciuto dire. Non si dimentichi che Napoli, nel suo cuore più profondo, può annoverare una piazzetta, che fa esplicito riferimento al suo “corpo”, dove si distende la umana figura del fiume Nilo. E Mastriani, più di altri precedenti autori, ha colto, con la discrezione che lo caratterizzava, questa corporalità, questo toccarsi senza farsi male, del tutto impensabile in altre capitali europee.
Per la cultura, classica ed europea, comunque, che ha mostrato, egli non si rivela affatto un autore periferico e provinciale e la sua innata modestia, che solo in rari casi era costretto a contraddire, quando altri sostenevano tesi affrettate e non condivisibili, come quelle sul realismo, può e deve indurre la critica a riconsiderarlo nella sua complessità e vastità di interessi culturali e letterari, che anche in questi racconti emergono con la solita semplicità e naturalezza. Egli, in tal senso, si rivela un raccontatore realista.
Chi vuole conoscere Napoli, deve leggere Mastriani, Marotta, autentici padri della nostra narrativa, comunque, che non sempre li ha riconosciuti, pur copiandoli o almeno ispirandosi ad essi.
La sua scrittura, pur risentendo inevitabilmente del tempo, che viveva, è molto più moderna di quanto possa sembrare e avrebbe ancora oggi molto da insegnare, nella singolarità e nella totalità del suo narrare.
Napoli resta comunque una città, nella quale il genio è talmente di casa che si rischia di non farci caso e dove, purtroppo, spesso si spengono le energie migliori. Mastriani, anche per ragioni pratiche, dovute alla sopravvivenza sua e della sua famiglia, ha rivelato quella che oggi si chiamerebbe una resilienza letteraria di rara efficacia, saltando, come confermano le sue parole riproposte in questa riedizione di parte della sua sconfinata opera, ogni possibile ostacolo ed offesa alla sua indubitabile e, a volte, indifesa, onestà intellettuale. Incidenti letterari, imposti spesso da una società che non è stata mai capace di riconoscere il merito, il valore reale, di cui ancora oggi troppo si parla e poco si fa.
Mastriani resta un testimone prezioso di una Napoli, che ha anch’essa, come ebbe felicemente a testimoniare lo stesso Pasolini, mostrato eroica fedeltà alla propria identità, alle proprie tradizioni, che anche questo testo conferma, imponendo, a dispetto di ogni deviante e falsa globalizzazione, un’autenticità emotiva ed espressiva, che deve fare invidia a chi l’ha irrimediabilmente perduta o smarrita.
Mastriani è uno di quegli autori che di questa Napoli, senza nostalgia, ma con una modernissima ironia, ha fatto baluardo letterario, mostrando i suoi pregi e difetti, ma, anche, la sua complessità storica e antropologica, che solo una critica affrettata e scolastica, che egli si divertiva a prendere in giro, può continuare a rimuovere e a trascurare.
FRANCESCO D’EPISCOPO