SOTTO UN LUME A GAS. Rivelazioni di un amico

 

   Trentamila lettori del Lume a Gas, siete stati a Parigi? Poco m’importa il saperlo, come del pari suppongo nulla vi valga il sapere ch’io vi sia stato; ciò nonostante, essendo io per natura un tantin ciarliero e vanaglorioso, voglio raccontarvi la prima avventura che mi occorse ponendo piede in quella città.

   Dovete sapere ch’io sono un giovinotto scapolo e ricco, ho una lunga capellatura all’imbecille; ed un lungo naso, come potete osservare dal mio ritratto; sono dedito a divorar pani tedeschi e romanzi francesi; mi chiamo (non voglio dirvelo, perché ho un brutto nome); vivo da me solo in Napoli, ma ho molti amici che convengono a partecipare delle mie colazioni, facendo brindisi alla mia salute, ed abbracciandomi ad ogni buassaggine che mi scappa.

   Ma la natura compensa tutto; vicino alla cancrena ha posto la morte, che pone termine a’ dolori; vicino alla rosa ha posto la spina; e vicino ai ricchi ha posti gli amici, cioè la crapula, il furto, la menzogna, e la beffa; e questi gentilissimi signori in poco tempo avrebbero ridotto a secco i miei fondi, se io non mi fossi affrettato di scrivere a mia zia Geltrude a Parigi che mi preparasse un paio di stanze nel suo appartamento, volendo ivi trasferirmi per qualche tempo.

   Giungo di sera nella capitale della Francia e per non iscomodare mia zia a quell’ora, mi stabilisco in un albergo, avendo fermato di andarla a trovar l’indomani. Intanto mi vesto con ricercatezza, ed esco per ispendere qualche ora ammirando la galleria del mondo sociale, il salone della civiltà Europea, Parigi – Per osservar comodamente le strade ed i palagi, voglio prendere ad ore un fiacre; esco sulla grande strada, guardo in ogni verso; non passa un’anima… avrò forse sbagliato l’ora; sarà forse molto tardi; osservo il mio orologio; sono due ore di notte all’italiana. Non rinvengo dalla sorpresa; sono quasi quasi tentato di credere di non stare  Parigi – Nella mia mente mi avea creato di questa città un’idea così luminosa, così bella! Vedea nell’immaginazione trasparenti cristalli, lumi a gas a migliaia, come ne escono dalla macchina del signor Nobile, lucidissime strade, sontuose botteghe, popolo immenso, carrozze a diluvio; credea che a Parigi fino a giorno si facesse un baccano per le strade, si muovessero tanti fanti e tanti cavalli; si vedessero le più bianche fanciulle, le più eleganti signore!… Amaro disinganno! – Oh come in quel momento sospirai la brillante Toledo, che nelle sere d’està cinge di bianca veste una luna veramente civetta!

   Camminava da un’ora tristo e pensieroso su i baluardi, senz’aver potuto imbattermi in qualche misera vettura vuota. Non avea incontrato che pochi personaggi gravi col soprabito abbottonato sino al mento, sette o otto guardie municipali che mi avean guardato sotto il muso; e qualche elegante bellimbusto che correva, perché a Parigi si vive di galoppo. Mi risolveva a tornar su i miei passi, quando ad un tratto mi passa dinanzi una signora nobilmente vestita. Confesso la mia debolezza; ma io sono amante del bel sesso, e son sicuro che mezzo genere umano è dello stesso mio avviso. D’altra parte una graziosa mantiglia di velluto nero che disegna esattamente un bel busto donnesco; un caro cappellino con svolazzanti nastri che lascia indovinare il tesoro che chiude, e tante altre cose rilevanti che nelle tenebre tradiscono una bella donna, attirano l’ammirazione di chiunque ha un cuor maschile sotto il giustacuore. E poi considerato che mi avevano dipinte le parigine come cose sovrumane – Mi posi però a tener dietro i passi di quella signora.

   Parmi avervi detto più su ch’io sono lettore di romanzi; epperò vi giuro  che ho il capo un pocolino esaltato, tanto più che in articolo amore sono tuttavia tironcello. – Mi accosto dunque più all’incognita signora, la quale par che niun pensiero si dia della mia ostinazione a seguirla – Camminiamo da mezz’ora incirca; sento che la stanchezza mi vince; ella si è voltata varie volte, ma le tenebre mi hanno impedito di notarne le fattezze del volto. Finalmente arriviamo all’entrata di un teatro… Il mio cuore palpitava orribilmente… Ho deciso: se ella entra, vi andrò anch’io… Ma, prima di entrare, ella volge il capo verso me, ed alla luce del fanale a gas posto    sull’atrio, scorgo un paio d’occhiali sul naso di colei!… Cielo! Una vecchia!… Cielo e terra!! Mia zia Geltrude!!

                                           Francesco Mastriani

.

           Fu pubblicato sul giornale Il Lume a Gas il 20 gennaio 1848.