SUI SUCCHIA-SANGUE SOCIALI IN MASTRIANI

   Premessa

   «Vorrei proprio sapere quando finisce questo ridicolo mondo!». Con queste apocalittiche parole cariche di pessimismo frammisto ad amara ironia prende avvio I Vampiri. Romanzo umoristico I edizione, Napoli, L. Gargiulo, 1868 di Francesco Mastriani (1819-1891), tra i padri del verismo partenopeo, primo autore di romanzi gialli in Italia e in assoluto il più prolifico dei romanzieri d’appendice nostrani. Nel giorno della morte Matilde Serao (1856-1927) così lo ricordava sul Corriere di Napoli:

   «Questo povero vecchio che si è spento oscuramente, carico di anni e di dolori, affranto da un duro e incessante lavoro che gli lesinava il pane, tormentato da una invincibile miseria, non soccorso dalla fredda speculazione giornalistica che lo ha tanto sfruttato, soccorso dalla segreta pietà di poche anime buone, questo martire della penna era, veramente, fra i più forti e più efficaci nostri romanzieri».

   Nonostante la sua poderosa opera, costituita da oltre cento romanzi, per oltre un secolo Mastriani fu infatti quasi dimenticato, eccezion fatta per il primo dei romanzi della cosiddetta trilogia socialista, ovvero I Misteri di Napoli Studi storico sociali (1869-1870). La riscoperta e successivo revival editoriale degli ultimi anni si deve esclusivamente ai discendenti, fra i primi lettori moderni di questi scritti, sopportati da meritevoli editori da sempre legati al mondo delle rarità e del collezionismo.

   Risalta come caratteristica peculiare dei romanzi del Mastriani verista il grido di denuncia contro quelli che potremmo indicare I Misteri dell’Iniquità Sociale. Ciò appare evidente anche in un romanzo abbastanza breve e umoristico come I Vampiri nel cui prologo Mastriani scrive che da quando l’Uomo è stato creato dal fango, ovvero dalla corruzione della materia la Storia sia stata costellata dalla congerie di invenzioni e scoperte per la distruzione affinatesi progressivamente nel tempo.

   Dal fratricidio di Caino a seguire, il sipario del mondo ha continuamente mostrato lotte, stragi e violenza d’ogni genere verso le classi più deboli e vulnerabili. Quindi, perché non calare definitivamente il sipario su questo spettacolo, paradossale risposta al dono del libero arbitrio accordato all’Uomo da Dio? E qual è dopotutto lo scopo della creazione dato che l’Umanità è costantemente in bilico tra Bene e Male, atteggiamento bipolare dell’angelo e del bruto, come affermava il filosofo Blaise Pascal (1623-1662)?

   Ovviamente Mastriani non fornisce una risposta esauriente a questo eterno tema esistenziale, ma delega al lettore il compito di trarre… se non proprio delle conclusioni, almeno delle riflessioni anche alla luce del fatto che I Vampiri è un romanzo contemporaneo, quasi in presa-diretta, poiché ambientato nella Napoli del periodo 1863-65, probabilmente soltanto nelle edizioni successive arricchito della chiosa finale relativa allo scandalo delle Banche-Usura del 1870.

   Riguardo ai principali consumatori di sangue cui fa riferimento il titolo del romanzo, non sono esattamente degli esseri soprannaturali o spettri, ma delle sanguisughe sociali, appartenenti a quelle differenti categorie di vampiri che costituiscono il perfezionamento della scienza distruttiva. Con piglio tassonomico Mastriani li classifica in tre classi, senza comunque dichiararle palesemente, ma sono categorie queste accumunate tutte dalla presenza (sebbene soltanto virtuale) di esostosi vampiresche, quelle che definiremmo con un termine più prosaico “corna”. Posseggono queste estroflessioni in virtù della loro peculiare predisposizione connessa alla cosiddetta fisiologia del debito che illustra come nella Società vi siano sempre due strati, ai due opposti della barricata, vittime e martiri da un lato, usurai, profittatori, arrivisti, avari e ulteriori carnefici dall’altro.

   In questo abisso infernale di vampiri sociali, il più diabolico e colpevole nell’ambito di questa dannata genia presente nel romanzo è Prospero Pelacristiani, viscido usuraio e ambiguo truffatore. seguito a ruota da figure come il profittatore e spogliatore di eredità Barone B…, l’avarissima Donna Dorotea, nonché la classe degli opportunisti, rappresentati dalla famiglia Collotorti e la loro cerchia di amici, fra i quali figurano anche rappresentanti del clero.

   A questi vampiri sociali si contrappongono, attraverso una trama piuttosto semplice che non riveleremo, tre sfortunati giovani (Leopoldo Sorice, Berardo Conigli e Carlo Chiassone) che hanno la malaugurata avventura di essere in relazione diretta o meno con questi degni rappresentanti dei succhia-sangue. Questi giovani dovrebbero rappresentare gli eroi del romanzo, ma Mastriani li rende tali soltanto quando, aguzzando l’ingegno, si trasformano anche loro in profittatori, sebbene il capitolo finale sulla gestazione non regolare del denaro delle Banche-Usura rimescoli le carte secondo la legge del taglione!

   Da notare l’azzeccatissimo gioco dei nomi prescelti da Mastriani per i personaggi principali, in linea con il loro peculiare carattere (nomen omen) e alla stessa maniera di Charles Dickens (1812-1870) nei suoi celeberrimi romanzi. Tuttavia, a differenza di Dickens gli avari e strozzini di Mastriani non ispirano alcuna simpatia nelle loro nefandezze e neppure si redimono come Ebenezer Scrooge nel racconto A Cristmas Carol (1843).

   Come noto, da appendicista Mastriani fu un abile manipolatore di trame, costantemente alla ricerca di quel “sensazionale” che potesse catturare l’attenzione dei lettori dei suoi roman-feuilleton per gran parte pubblicati all’interno di quotidiani, principalmente sul Roma, seguendo la moda iniziata in Francia con l’archetipo di tutti i romanzi sociali, ovvero I Misteri di Parigi di Eugène Sue (1804-1857). La prima puntata di questo romanzo apparve il 19 giugno 1842 in appendice al conservatore Journal des Débats e la pubblicazione proseguì fino al 15 ottobre dell’anno successivo, per un totale di 147 appendici subito riunite in dieci volumi. II romanzo ottenne un trionfale successo di pubblico e l’eco si fece sentire anche in sede governativa. Durante  la pubblicazione, infatti, nonostante il giornale fosse accusato in Parlamento di «far passeggiare da un anno i suoi lettori per le fogne parigine», Sue ricevette la Croce della Legion d’onore dal Ministro della Pubblica Istruzione. Dopo i Misteri di Parigi, Sue scriverà numerosi altri romanzi, fra i quali L’Ebreo Errante (1844-1845), Martino il trovatello (1846) e l’interminabile I Misteri del Popolo, composto nel periodo 1849-1856 e per il cui contenuto l’autore finì in esilio in Svizzera e  morì.

   Non molta più fortuna ebbe Mastriani, nonostante i numerosi  romanzi da lui composti, quasi tutti ispirati ai temi preferiti dagli autori popolari d’oltralpe, dato che proprio dallo schema dei Misteri del Popolo prese spunto per la redazione dei suoi misteri partenopei. Ispirazioni comuni e temi ricorrenti del romanzo popolare che Mastriani tuttavia cercò sempre d’interpretare in maniera assolutamente originale e che fu la sua personale cifra stilistica in un periodo della storia letteraria in cui, anche il tema del vampirismo, fra gli altri, era frequentato da scrittori e poeti.

    Di seguito, attraverso un articolato percorso storico-sentimentale giocato sul principio delle scatole cinesi, sarà offerta ai lettori de I Vampiri. Romanzo umoristico un viaggio panoramico attraverso i principali riferimenti letterari in Italia collegati al mito del vampirismo classico e contestualmente anche quello più generico dei succhia-sangue (ad esempio, zombi e revenant, fantasmi e altri spiriti incorporei, pipistrelli e piante esotiche), tutti indifferentemente ghiotti di emoglobina.

   E come leggerete a breve, Francesco Mastriani in questo articolato sentiero di sangue vi entra di diritto, anche con altri ben più appassionanti romanzi della sua ampia produzione.

   Per cui… Buon appetito!

   Bizzarrie recenti e recessi culturali sulle origini dei vampiri e altri succhia-sangue

   Ogni epoca e area geografica del globo ha avuto i suoi vampiri o, più in generale, succhia-sangue. Potrebbe essere questo l’incipit al presente saggio confinato geograficamente entro i confini del territorio italiano e temporalmente prima del secondo conflitto mondiale. A questo assunto era pervenuto Montague Summers (1880-1948), fra i primi studiosi del vampirismo e altre amenità letterarie del genere, nel suo celeberrimo volume The vampire. His Kith and Kin (1928). Discutendo di vampirismo, con la sua particolare dovizia di particolari, Summers afferma che «la tradizione è mondiale, e di un’antichità senza tempo». Come non essere d’accordo.

   Nelle religioni antiche il sangue era simbolo di fertilità e veniva sparso in terra, dopo il sacrificio dell’animale… e umano per propiziare il raccolto, senza che fosse ancora nota la sua funzione fertilizzante anche per il suo contenuto in ferro.

   Certamente dallo studio di Summers la tradizione si è evoluta e le incarnazioni dei succhia-sangue sono ormai sparse in un mondo globalizzato nel quale, attraverso tutti i mass media, essa stessa è stata modificata e perfino reinterpreta a partire di queste creature.

   Da Caino capostipite dell’intera stirpe dei vampiri, nel Libro di Nod collegato al gioco di ruolo Vampire:The Masquerade, a Giuda Iscariota maledetto da Dio come traditore e trasformato in vampiro, passando per altre recenti blasfeme interpretazioni del patto di sangue di Gesù con i suoi seguaci, in occasione della consacrazione del vino in sangue nell’ultima Santa Cena e reiterata ad ogni celebrazione eucaristica (Matteo 26:26-29; Marco 14:22-25, Luca 22:19-20) è ormai un gioco di continui rimandi, l’ultimo dei quali intrecciato anche al mito del Santo Graal e alla relativa linea di sangue reale. Caino sarebbe il capostipite dei vampiri perché con il suo atto traditore e fratricida nei confronti di Abele è stato condannato a vagare per l’eternità in uno stato di non-vita. L’altra ipotesi che invece considera primo vampiro Giuda Iscariota per aver tradito Gesù, sono i seguenti: soltanto un paletto di frassino o biancospino può uccidere i vampiri, poiché rappresentava la tipologia di legno utilizzato per la croce; i vampiri possono essere uccisi dall’argento perché Giuda fu corrotto appunto da denari d’argento; altro modo per uccidere un vampiro sarebbe l’ impiccagione, poiché questa era la pena all’epoca di Ponzio Pilato per i traditori e per le spie. Quindi, tutta una serie di teorie recenti aventi origine dalla distorsione dei testi sacri e gnostici.

   In realtà, sembra che le ancestrali figure da cui sarebbe sorto il mito vampiresco possano risalire alla Grecia Classica, con alcune figure femminili inquietanti, come le Lamie, in parte umane e in parte animali, la cui propensione preferita era quella di rapire i bambini o di presentarsi nottetempo al cospetto uomini per nutrirsi del sangue e… altri loro fluidi corporei. Ciò avrebbe instillato una serie di credenze nella cultura popolare dando luogo a numerose superstizioni e riti che esorcizzavano il potere malefico dei succhia-sangue. Le Lamie furono chiamate anche Empuse, sebbene queste avessero origine differente, essendo delle ancelle muta-forma al seguito di Ecate che potevano incontrarsi anche alla luce del Sole. Nell’Odissea di Omero troviamo l’indovino Tiresia che Ulisse evoca per ottenere risposta ai suoi affanni. Benché orinai morto e residente nell’Ade, Tiresia conserva, a differenza degli altri spettri che si affollano incontro ad Ulisse, la propria identità e le capacità mentali, sebbene come gli altri cadaveri insistentemente attratto dal sangue umano.

   Legata alle tradizioni babilonesi e ai testi ebraici è invece la leggenda di Lilith, demone-femmina presente in un’ampia letteratura diffusa in epoca antica, medievale e moderna. Questo mito affonda le sue origini nella religione mesopotamica e nei primi culti di quella ebraica. Se nella religione mesopotamica Lilith è un demone femminile portatore di sciagure e morte, legata al vento e alla tempesta in trascrizioni risalenti al III millennio a.C, nelle testimonianze orali raccolte negli scritti rabbinici formanti la versione jahvista della Bibbia – che precede di qualche secolo quella dei sacerdoti – Lilith è la prima moglie di Adamo che si rifugia nel Mar Rosso, per fuggire dal marito. Essendo stata creata da Dio dalla polvere, come Adamo, pretendeva di averne gli stessi diritti anche sotto il profilo sessuale. Una fonte che parla di Lilith come prima figura femminile è L’alfabeto di Ben-Sira redatto nel X secolo d.C. da autore anonimo. Al rifiuto della parità dei sessi, Lilith pronuncia infuriata il nome di Dio e abbandona il Paradiso Terrestre per rifugiarsi nel Mar Rosso dove, accoppiandosi con il demone Asmodai (Asmodeo, Asmodaeus, pronunciato all’araba Ashmed; Ashmedeu in ebraico, o anche Chammandai, Sydonai), darà inizio ad una stirpe di demoni chiamati Lilim o Linin protagonisti del folklore ebraico e nella tradizione cabalista. Appare anche associata al demone notturno che spesso compare nella forma di civetta, capace di succhiare le forze vitali ai bambini.

   Vampiri e altre sanguisughe nella letteratura e nel melodramma in Italia

   L’Italia non vanta certamente un’ampia produzione letteraria incentrata sugli aspetti alimentari del sangue. Tuttavia, con un ampio margine di interpretazione del tema, è possibile stilare una dettagliata e originale cronologia.

   Il primo riferimento letterario è relativo al Flegetonte, fiume di sangue ribollente nella Divina Commedia (1304-1321), poema scritto dal padre della letteratura italiana, Dante Alighieri (1265-1321). Presente nella mitologia classica, associato ai fiumi infernali Cocito e Acheronte, nel Fedone platonico si dice che dal suo fuoco deriverebbero le lave vulcaniche, mentre i mitografi dell’Alto Medioevo immaginarono che vi fossero puniti parricidi e tiranni. Dante lo descrive nel Canto XII dell’Inferno come un fiume di sangue nel quale sono puniti i violenti contro il prossimo (contro la persona o i suoi averi) che appaiono immersi in misura diversa a seconda della gravità del peccato commesso. Gli assassini, ad esempio, sono praticamente immersi nel sangue fino alla testa rendendone inevitabile l’ingestione senza possibilità di scampo. A sorvegliare i violenti stanno i Centauri armati di arco frecce, che saettano i dannati qualora emergano più del dovuto dal sangue. Dello stesso tono è un madrigale anch’esso trecentesco di Niccolò Soldanieri, (?-1385), ricordato da Benvenuto Cellini (1500-1571) ne La vita e poi ripreso nel Canto XII della Gerusalemme Liberata (prima edizione autorizzata, 1581) di Torquato Tasso (1544-1595), in cui Tancredi colpisce il seno di Clorinda con la punta della spada e questa quasi per magia beve avidamente il sangue della donna.

   Furono questi i primi veri precursori di una letteratura che si affermerà soltanto a partire dal XIX secolo, come forma ibrida, nata dall’incrocio fra raziocinio dell’Illuminismo e profilo estetico del Sublime, che nel primo Romanticismo si caratterizzerà da una ossessione per i temi preferiti da autori come Thomas De Quincey (1785-1859), John Keats (1795-1821) e soprattutto Lord George Gordon Noel Byron (1788-1824). Le mistificazioni del Gotico si fondono quindi con la volontà di razionalizzare situazioni e fatti considerati soprannaturali.

   Esistono comunque anche brevissime allusioni alla figura del vampiro che appaiono in opere letterarie all’inizio dell’Ottocento, come nel Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie presente all’interno delle Operette Morali (1827) del poeta Giacomo Leopardi (1798-1837), nel quale i cadaveri che lo scienziato e medico olandese Federico Ruysch conserva si svegliano, a causa dell’allineamento dei pianeti, conversano con lui della Vita e della Morte e sembrano interessati anche a berne il suo sangue. Ruysch impaurito, perde la sua razionalità e minaccia i cadaveri di annientarli con una stanga che serviva a serrare orizzontalmente l’uscio di casa. Leopardi quindi tematizza in modo ironico la leggenda dell’uccisione dei vampiri conficcando un paletto di biancospino nel loro cuore, quasi preannunciando la successiva proliferazione di queste creature, non tutte vampiri propriamente detti, secondo e canoni dettati dalla recente smania di incasellare tassonomicamente i diversi succhia-sangue, che siano reali o soltanto ideali.

   Il primo accenno al vampiro nel XIX secolo lo troviamo nell’opera lirica Il vampiro attribuita ad un certo A. De Gasperini rappresentata a Torino nel 1801. Tuttavia, non si è mai rintracciato alcun libretto dell’opera al punto da mettere in dubbio la sua effettiva esistenza.

   Certamente esiste invece l’opera I Vampiri del compositore campano Silvestro Palma (1754-1834), presentata al Teatro Nuovo nel 1812 su libretto di Giuseppe Palomba (1765-1825), nipote dell’altro noto poeta e librettista Nicola Palomba, e ispirata alla Dissertazione sopra i vampiri di Giuseppe Davanzali patrizio fiorentino, e tranese, cavaliere gerosolimitano (1774), prima testimonianza scritta da un italiano su questo tema e che circolò soltanto manoscritta per oltre trent’anni prima di essere pubblicata postuma a cura di un nipote. Giuseppe Davanzati (1665-1755), arcivescovo di Trani, amico personale di papi e regnanti, fu figura emblematica d’instancabile viaggiatore e tra i più strenui sostenitori della necessità di conciliare fede e verità, ragionamento intellettuale e verifica empirica. Sostanzialmente Davanzati nega l’esistenza dei vampiri, affermando che «la vera cagione de’vampiri è la nostra fantasia corrotta e depravata», sotto l’ influsso talvolta demoniaco, come nei casi di presunto vampirismo verificatisi in Germania nel periodo 1720-1739 e da lui studiati. L’opera I vampiri è un’opera buffa dalla trama assai semplice. essendo basata essenzialmente su due servi e due capitani fifoni che a turno credono che qualcuno degli altri sia proprio un vampiro, generando confusione ed equivoci, sfruttando anche la comicità della lingua napoletana. Come è facile immaginare, alla fine ogni cosa si chiarisce e scopriamo che i presunti vampiri non sono altri che briganti.

   Sempre in ambito musicale è da citare Amilcare Ponchielli (1834-1886) che nel 1876 debutta al Teatro La Scala di Milano con la sua Gioconda del celebre librettista verdiano Arrigo Boito (1842-1918), che trasse la storia dal dramma di Victor Hugo (1802-1885) Angelo, Tyran de Padoue del 1835. L’opera, destinata a un notevole successo dopo una serie di rifacimenti, lo fu in particolare grazie al pezzo D’un Vampir fatal (Scena Seconda) della celebre, strumentale Danza delle Ore.     L’azione si svolge nella Venezia dei XVII  secolo e ha come protagonista una donna, la Gioconda, che cura la vecchia madre cieca.  Gioconda è amata, non corrisposta, dal sordido Barnaba, informatore del Consiglio dei Dieci che istiga la folla contro la cieca, additandola come strega Gioconda è invece perdutamente innamorata di Enzo, un  principe genovese, proscritto da Venezia, che si finge  marinaio dalmata, il quale a sua volta ama Laura, moglie di Alvise Badoero, nobile veneziano e inquisitore di stato. È lei che salva la cieca dalle ire del popolo, ricevendo in cambio un rosario portafortuna. Ma la situazione precipita e, come in ogni roman-feuilleton che si rispetti, ci aspettano agnizioni, veleni, morti veri e presunti, in una trama complessa e ricca di colpi di scena. spesso anche piuttosto macabri.

   Considerato il primo romanzo italiano sui succhia-sangue, Il vampiro. Storia vera fu scritto dal barone Luigi Francesco Corrado Mistrali (1833-1880), più noto come Franco Mistrali, un giornalista di fede garibaldina, autore anche di numerosi romanzi storici. Già nel 1861 aveva dimostrato il suo lato oscuro con la raccolta I racconti del diavolo. Storia della paura che risente dell’influsso di E.T.A. Hoffmann (1776-1822) e Edgar Allan Poe (1809-1849), entrambi di notevole impatto in Italia, soprattutto all’interno del movimento della Scapigliatura, cui si farà cenno successivamente.  Mistrali pubblica il suo romanzo più celebre, presso Tipografia dei Compositori nel 1869, ben ventotto anni prima di Dracula (1897) di Bram Stoker (1847-1912) che in Italia avrà una storia editoriale particolarmente complessa. Volendo riassumere, Dracula di Stoker esce una prima volta, in forma non integrale, per l’editore Sonzogno di Milano nel 1922 con il titolo di Dracula. L’Uomo della Notte e con un errore nel nome dell’autore il titolo (Brahm anziché Bram). Soltanto nel 1945, con l’entrata in scena degli Editori Fratelli Bocca di Milano, l’edizione viene tradotta integralmente.

   Il vampiro. Storia vera di Mistrali[1] è una vicenda gotica che descrive i vampiri come associazione segreta basata sul culto del sangue. È ambientata nel 1862 presso il Principato di Monaco dove il protagonista che è uno scrittore, si è recato alla morte dell’amata Ada per cercare di elaborare il lutto. Qui trova conforto nell’amicizia del conte polacco Alfredo Kostia che lo accoglie nella sua villa, ma nasconde un tragico segreto collegato a un misterioso quadro raffigurante l’Ofelia shakespeariana. Durante una gita, Kostia rimane turbato alla vista di una bellissima donna che sembra proprio la modella del quadro, Pia Ludowiska la donna da lui amata, morta da dieci anni e sepolta nel cimitero protestante di Nizza. Il conte si convince che la donna sia diventata una vampira e la sua idea si rafforza quando, all’esumazione del corpo, all’interno della bara si rinvengono soltanto un anello d’oro con rubino e un medaglione con ritratto. Come allora interpretare la sua presenza tra i vivi? Tra funeste vicissitudini nelle gelide terre della Siberia e della Lituania, cospirazioni dinastiche e segreti di Stato, finisce per essere avvalorata l’ipotesi di un sanguinario intrigo imperiale che vede all’opera una sinistra setta sovversiva che, appropriatasi di conoscenze antiche, cerca di riscattare l’onore e contrastare il despotismo dello Zar di Russia. Il melodrammatico romanzo spiana così la strada ad altre opere di connazionali.

   Del nostro Mastriani è invece La Jena delle Fontanelle pubblicato in appendice al giornale Roma (1886) in 104 dispense. Qui appare la figura del donna-vampiro, indicata come vampa o jena che rapisce alle falde e sui colli delle Fontanelle dei bambini per poi sgozzarli e abbandonarli esangui sull’uscio di casa dei genitori. Sullo sfondo, a darle la caccia oppure a cercarne l’alleanza, sono fattucchiere, streghe, maliarde. Intanto sta per scoppiare la Rivoluzione Partenopea del 1799, ovvero quella che vede protagonista la sfortunata Sanfelice di Alexandre Dumas (1802-1870). Responsabile degli infanticidi sui colli delle Fontanelle è Ninive, un’ebrea alla quale sono stati uccisi per generazioni i componenti della famiglia per l’assurda superstizione connessa alla presunta maledizione di Cristo lanciata al ciabattino del Calvario e ai suoi discendenti ebrei, considerati portatori di calamità come per l’eruzione del Vesuvio in questo caso, oppure il colera come descritto da Eugène Sue ne L’Ebreo Errante (pubblicato a puntate su Le Constítutionnel dal 1844 al 1845). L’uccisione a bastonate del marito Malachia a Bologna e quella del piccolo Ismaele da un beccaio alle falde del Vesuvio, renderanno omicida Ninive che, a conclusione del romanzo sarà impiccata, non prima però dell’agnizione relativa a Maria la muta riconosciuta come l’altra figlia Rachele, sfuggita dopo l’esecuzione del fratello. Sarà la stessa ragazza, convertita al Cristianesimo e sposata ad Arcangelo, un onesto garzone, a far catturare inconsapevolmente la madre, riacquistando per lo shock la parola. Dall’unione della coppia nascerà un nuovo Ismaele, mentre lo zio di Maria, Eliacin, percorrerà le strade del mondo non più per una maledizione, ma per propria scelta.

   Del 1874 è la pubblicazione di un dramma in quattro atti di Ulisse Barbieri (1842-1899) che fu anche scrittore e patriota italiano. Sotto questa veste, si segnala presto alla polizia austriaca come sovversivo quando nel 1858, diciassettenne, fu sorpreso e arrestato, mentre affiggeva al muro manifesti clandestini che esaltavano l’attentato di Felice Orsini (1819-1858) contro l’imperatore dei francesi Napoleone III (1808-1873). La condanna inflitta al giovane fu esemplare per la durezza: quattro anni di carcere durante i quali ebbe tempo e modo di leggere molto (soprattutto i classici antichi e, tra le opere moderne, quelle di Hugo e Dumas padre) formandosi una cultura, vasta ma frammentaria, sulla quale poggiò la sua enorme produzione di pubblicista e commediografo grandguignolesco. Fra le sue composizioni figura La locanda dei fanciulli rossi. Dramma in 4 atti (1873), nella quale Barbieri, con il suo caratteristico stile sardonico e disincantato, racconta un’ oscura vicenda gotica. Come il personaggio storico di Erzsébet Bàthory (1560-1614), soprannominata Contessa Dracula, qui il presunto vampiro si alimenta del sangue di innocenti bambini e giovani vergini prediligendo effettuare anche bagni di sangue, secondo le prescrizioni del medico che lo ha in cura.

   Del 1904 è Un vampiro, una novella di Luigi Capuana (1839-1915), noto scrittore siciliano, giornalista e critico letterario del Corriere della Sera. Autore di decine di opere, tra saggi, romanzi. novelle, fiabe, racconti e antologie, nei suoi scritti puntò l’attenzione alla psicologia dei personaggi, trattata nel modo del tutto impersonale e scientifico tipico del Verismo. Attento studioso di Èmile Zola (1840-1902) e del Naturalismo francese, Capuana se ne discostò per interessarsi anche di occultismo e d’introspezione psicologica, in controtendenza con l’imperante Positivismo del suo tempo. Volle in particolare indagare i fenomeni paranormali e i misteri dell’aldilà, conferendo scientificità a questi aspetti. Il racconto Un Vampiro, pubblicato nel 1904 sulla rivista La Lettura e in volume nel 1907, è dedicato a Cesare Lombroso (1835-1909), il pioniere degli studi sulla criminalità e fondatore dell’antropologia criminale. La novella narra lo strano caso di un marito defunto che si ripresenta alla sua consorte Luisa accusandola di averlo avvelenato. La donna intanto si è risposata con Lelio che è il narratore della vicenda. Il defunto si palesa per incutere terrore e perfino succhiare il sangue al figlio della coppia. La narrazione è effettuata da uno scienziato positivista, tale Mongeri, che all’inizio considera i fatti soltanto delle allucinazioni, per poi rivedere tale posizione di fronte all’evidenza dei fenomeni occorsi. I Vampiri sarebbero «individualità più persistenti delle altre, casi rari, sì, ma possibili anche senza ammettere l’immortalità dell’anima, dello spirito» che «credono di poter prolungare la loro esistenza succhiando il sangue o l’essenza vitale» e che vanno sconfitti con «l’affrettamento della distruzione del loro corpo» attraverso la cremazione.

   Segue un certo Enrico Boni con il suo Vampiro presente nella raccolta Delirio. XIII fantasie, Ed. Carra e Bellini, 1908, novella decadente a base di anemia e sangue, ma anche di paletti aguzzi, crocefissi e canini mordaci. Qui troviamo Sinibaldo, un vero non morto che esce dalla tomba per succhiare il sangue delle sue vittime e che può mutarsi in un terribile cane nero, ma finisce annientato piantandogli classicamente il paletto nel cuore. La cornice è quella contadina e popolare, un mondo intriso di superstizione e di paure ancestrali.

   Vampiri e donne fatali nella poesia e altre forme artistiche in Italia

   La poesia vampirica italiana ha quasi sempre come protagonista la figura della femme fatale, agli occhi dei contemporanei, soprattutto dì sesso maschile, spregiudicata, immorale e prevaricatrice. Nel tempo se ne sono occupati, la Scapigliatura, il Futurismo e ulteriori poeti di rottura e sperimentazione. La figura della donna vampiro trae origine dal mito di Lilith, la già citata prima moglie di Adamo, dalla notevole valenza erotica che in Francia aveva trovato l’espressione più originale nella poesia di Charles Pierre Baudelaire (1821-1867). L’idea di base è quella del mito di un utero malefico e mortale visto come bocca provvista di denti aguzzi.

   Ed è proprio tra le molteplici figure di donne fatali dominanti la letteratura del secondo Ottocento europeo che è possibile annoverare Fornarina, presente in una delle composizioni più celebrate e leziose di Aleardo Aleardi (1812-1878), ovvero Raffaello e la Fornarina, composta nel 1855 e successivamente pubblicata nella raccolta di poesie Canti (1864). L’idillio fa riferimento al dipinto La Fornarina di Raffaello Sanzio (1483-1520) e il poeta descrive la donna rappresentata come «il più bello dei vampiri» che succhia il sangue dal pittore portandolo precocemente alla tomba. Più nota è la figura di Fosca (1869) l’eroina dell’omonimo romanzo d’appendice, pubblicato nel Pungolo e lasciato incompiuto, dall’esponente più rappresentativo della Scapigliatura milanese, Iginio Ugo Tarchetti (1839-1869). Dalle descrizioni dei cronisti si apprende che fosse in grado di suscitare grandi passioni nei cuori delle donne, ma anche incapace di gestire razionalmente le relazioni sentimentali. Dello stesso Tarchetti è Memento (1863), fantasia macabra dove gli endecasillabi contrappongono morbose immagini di morte all’idealismo amoroso romantico. Anche dietro due profumate labbra femminee si possono celare gli spigoli del vampiro e della morte. Amore e seduzione finiscono per ribaltarsi in una terribile e ripugnante visione di decomposizione, ovvero il memento mori, costante antinomia tra Vita e Morte.

   Tra gli Scapigliati, oltre a Tarchetti ci sarebbe da citare anche Emilio Praga (1839-1875) con Dama elegante (1864), uno dei primi poeti che descrive la donna come vamp perversa e aggressiva. Non mancano gli scenari notturni nei quali questa figura è vista come essere ultraterreno e imprevedibile. Nello stesso periodo, il citato Arrigo Boito scrive la fiaba lirica Re Orso (1864) che tratta di un vampiro che ridesta dalla tomba il re e lo trasforma in un fantasma senza pace. La più alta celebrazione della donna vampiro la lascia invece il drammaturgo Achille Torelli (1841-1922) ne Il giovane poeta e la donna vampiro (1878). Nella lunga lirica si mette in scena un vampirismo erotico di stampo baudeleriano con una femmina vampiro, metafora dell’amante cui non si può resistere e che succhia le energie vitali sino in fondo. Olindo Guerrini (1845-1916) ne Il canto dell’odio (1877) porta nella poesia oltre al macabro di maniera pure la necrofagia alla Poe. Il poeta diventa vampiro e si vendica della donna vampiro defunta che lo sedusse e abbandonò.

   Tra le ulteriori femmes fatales da romanzo sono da annoverare le creature del verista Giovanni Verga (1840-1922), protagoniste in Una peccatrice (1866), Tigre reale (1875) e, soprattutto, La lupa all’interno di Vita dei campi. Nuove novelle (1880). C’è la Coletta Esposito, ovvero La Medea di Portamedina, romanzo pubblicato in appendice ancora al giornale Roma (1881) del nostro Mastriani, che si lascia guidare dal folle e cieco sentimento della gelosia. Vi sono donne psichicamente squilibrate, come Malombra (1881) di Antonio Fogazzaro (1842-1911), dal fascino enigmatico e dal carattere patologicamente distruttivo; Elena Muti in Il piacere (1889) e Ippolita Sanzio, ossessionata dalle esperienze erotico-sessuali nel Trionfo della morte (1894), primo cosiddetto “romanzo del superuomo” in Italia, entrambe opere di Gabriele d’Annunzio (1863-1938).

   Molte le figure vampiresche negli scritti della corrente letteraria del Futurismo.

   Le più note si devono a Filippo Tommaso Marinetti (1866-1944 ), con il suo poema Destruction (1904) in cui troviamo una candida vampira sensuale, poi la tragedia satirica Roi Bombance (1905) che presenta la figura del vampiro Ptiokarum, quale incarna l’eternità del desiderio e che, attraverso il sangue, legge i pensieri delle sue vittime. Ne Gli amori futuristi (1922) Marinetti insiste ancora sul tema della donna-vampira, ispirando altre operazioni poetiche minori legate a questo tema. Ad esempio, il siciliano Gesualdo Manzella Frontini (1885-1965), poeta, giornalista e scrittore, con Sui gigli gocce sanguigne (1920); Nicola Maciariello che con i Canti malvagi (1922) esalta la figura della sanguisuga perfino nell’ambito abominevole dell’incesto; il filosofo romano Julius Evola (1898-1974) che con Raȃga Blanda. Poesie dada. Composizioni (1916-1922) tratta di una donna che si sacrifica per il vampirismo sessuale del suo uomo che aspira a diventare immortale; Renzo Novatore, pseudonimo di Abele Ricieri Ferrari (1890-1922), con Vampiro biondo presente con altri racconti nei volume Al di sopra dell’arco (1924).

   Vampiri e affini nei settimanali popolari italiani

   Benchè di grande interesse letterario, effettuare una disamina su questo tema nei giornali e nelle riviste a carattere popolare, rappresenta un compito oltremodo completo per la numerosità degli scritti e la difficoltà della consultazione, essendo questi sparsi fra numerose testate presentì, il più delle volte, in raccolte lacunose e non digitalizzate all’interno di biblioteche in giro per l’Italia e nel mondo.

   Fra gli autori di quelli epoca il più conosciuto è ovviamente Emilio Salgari (1862-1911) scrittore di romanzi d’avventure, famoso per il suo ciclo dei pirati della Malesia e dei corsari delle Antille. Uno dei lati meno esplorati del suo immaginario d’avventura è quello relativo alle atmosfere e presenze lugubri, gotiche e fantasistiche che pur si riscontrano in buona parte della sua opera. Nelle appendici della Tigre della Malesia, apparso per la prima volta a puntate sulla rivista La Nuova Arena (1883- 1884), per poi essere pubblicato in volume nel 1900 con il titolo definitivo di Le tigri di Mompracem, il protagonista è Sandokan La Tigre, qui ancora un vero bevitore di sangue. All’interno poi della “Bibliotechina Aurea” dalla casa editrice Salvatore Biondo di Palermo, Salgari firmandosi “Guido Altieri” per sfuggire al contratto di esclusiva che lo legava alla casa editrice Donath, pubblica vari racconti fra i quali Il vampiro della foresta, nel quale il succhia-sangue è un pipistrello delle foreste dell’Uruguay, sconfitto da due giovani minatori siciliani, i fratelli Puraco. Ma non si tratta di puro esotismo salgariano, perché è presente un elemento soprannaturale, in quanto il pipistrello-vampiro e telepaticamente controllato da uno stregone indio. Il racconto sarà successivamente pubblicato da Sonzogno (1935).

   Si potrebbe andare ancora avanti con ulteriori riferimenti bibliografici al Giornale Illustrato dei Viaggi, Il Fanfulla della Domenica  e La Domenica del Corriere, ma forse è giusto fermarsi qui perché con l’avvento dei nuovi media il mito del vampiro risorgerà a nuova vita attraverso una moltitudine di nuove incarnazioni, quali il cinema, la letteratura di consumo, anche con lunghe saghe di personaggi più o meno fedeli al substrato antropologico e culturale di origine, nonché i fumetti, ovvero dagli adattamenti del Dracula di Stoker, fino a versioni erotiche come Jacula, Zora, Sukia e Yra.

   Sui generis rispetto a tutto questo appare Dampyr; una serie pubblicata a partire dal 2000 dalla Sergio Bonelli Editore, ideata da Mauro Boselli (1953-) e Maurizio Colombo (1960-) che, iniziata come fumetto a tematica horror, con il progressivo diradarsi della presenza di Colombo ha iniziato a trasformarsi in un prezioso serbatoio culturale (folclorico, letterario e musicale) a cui attinge il mito del vampiro nel mondo intero.

    Ma questa e un’altra storia e si dovrà raccontare ad un altro convito vampiresco… 

                                                              RICCARDO N. BARBAGALLO

[1] Riproposto la prima volta nel 2011 dalla Keres a cura di Antonio Daniele.