TRAMA

   Trama abbastanza complessa, i cui personaggi prendono origine dagli studi sociali effettuati dallo scrittore, imperniati principalmente dallo sfruttamento dei ricchi a danno della classe operaia in questo caso i proletari della campagna.  Nella Parte Prima, nel cap. I «Cecatiello e la genesi dei ladri», è con questo personaggio, uno dei principali dell’opera, che inizia l’intreccio. In compagnia del suo padrone Pilato lo strangolatore o il Masto, si recano nella casa di una donna di malavita, Sacco di Fiore, dopo aver commesso un grosso furto. Cecatiello è legato al Masto, in quanto costui lo vendicò, ammazzando in carcere lu tizzone, un camorrista che era stato la causa della cecità ad un suo occhio.

   I due malfattori si recano da Sacco di fiore, provenendo da una grassazione effettuata in casa del duca Tobia Massa-Vitelli; oltre all’assassinio del vecchio nobile, viene rubato un cassettino contenente un’ingente somma in oro, che il duca aveva lasciato in eredità ad un onesto campagnuolo: Paolo-Cipriano-Onesimo (Onesimo).

   Nella Seconda Parte, cap. I «Tobia o la genesi della ricchezza» entra in scena il colono Gesualdo, che in seguito ad un viaggio a Napoli, per fare una commissione alla marchesina Maria Amalia Massa-Vitelli, prende troppo freddo, si ammala e muore. Negli ultimi istanti della sua vita viene assistito da Marta, figlia di Cecatiello, e altro personaggio di primo piano dell’opera, che al contrario del padre, è buona e virtuosa. Entra in scena anche Onesimo, fidanzato di Marta, giovane di ottimi costumi; e Rita, figlia di Gesualdo, pure lei innamorata di Onesimo. Morto Gesualdo, essendo la madre rinchiusa in un manicomio, i suoi figli vengono accolti nel seguente modo: Francesca va con la sorella Rita, Nazario con Marta e Aspreno con Onesimo.

   Cecatiello ha raccontato a Marta sua figlia la sua storia d’amore con la madre Rosa, e le fa credere che di lei non ha più avuto notizie.

   Onesimo prima di mettersi con la figlia di Cecatiello, aveva amoreggiato con Rita, la primogenita di Gesualdo, la quale dopo che scopre del rapporto tra i due comincia ad odiare Marta. Onesimo si era allontanato da Rita anche perché la ragazza era stata sedotta da un nobile libertino.

   La Seconda Parte del lavoro è dedicato buona parte, ai proletari della campagna, e il padre di Onesimo, Cipriano, racconta le vicende che videro come vittime dei Massa-Vitelli, lui e suo padre Benedetto. Cipriano venne arrestato in seguito al ritrovamento, da parte sua, di un cadavere di persona agiata, sotterrato in un bosco di proprietà dei Massa-Vitelli, e dove lui, fittaiuolo del duca, ci stava lavorando.

   Cipriano, oltre ad Onesimo, ha altri due figli: Filomena e Sabato. Commovente la descrizione della morte della giovane, di tisi. Il duca aveva intimato lo sfratto alla famiglia per la malattia della tisica, ma ella muore poco prima dello sgombero. Sul cadavere della sorella il giovine Sabato promette che farà le vendette degli Onesimo ai danni dei Massa-Vitelli.

    Alcuni mesi dopo la morte di Filomena, muore anche il padre Cipriano; Sabato scompare di scena, e resta solo Onesimo, che è sempre perdutamente innamorato, corrisposto, di Marta.

  Il duca Tobia, ormai ottantenne e prossimo alla morte, come già detto, decide di emendare i torti fatti agli Onesimo, lasciando in eredità all’ultimo discendente, una somma di 30 mila ducati in oro. Il duca si fa portare al suo cospetto Onesimo per comunicargli la lieta novella. Ma quella stessa notte egli viene ammazzato e rapinato dei 30 mila ducati, dallo strangolatore e Cecatiello, e il giorno dopo Onesimo viene arrestato con l’accusa di essere complice dell’omicidio e della rapina ai danni duca.

   Mentre si trovava in una carrozza, scortato da due gendarmi, per essere portato a Napoli in carcere, il convoglio viene assalito dai briganti e Onesimo viene liberato. Il comando è guidato dal brigante Rinaldi e da Rita, la figlia del colono Gesualdo, che è diventata sua druda.

   Dopo il furto e l’omicidio del duca, gli autori del delitto, Pilato e Cecatiello, decidono di lasciare Napoli, ma prima di ciò fare, il Masto vuol conoscere Marta, la figlia del complice. La conosce, e in un momento in cui egli è solo con la ragazza, tenta di strangolarla, per nessuna ragione in particolare, «ma per un istinto di antipatia per tutto ciò che è bello moralmente o fisicamente»; [1] Marta viene però salvata dal padre che accoltella ai reni, lo strangolatore. L’omicida viene curato dalla stessa Marta, e si riprende, ma non sa che a ferirlo sia stato lo stesso Cecatiello. I due malfattori non riescono a lasciare Napoli, vengono arrestati e mandati al confino in un’isola dell’Arcipelago Ponziano.

   Nella Seconda Parte il cap. IV è dedicato al brigantaggio. Rita Gesualdo, come già scritto, è diventata la druda di Rinaldi, prendendo il posto di un’altra, che da lei viene freddamente accoltellata nel sonno. Della banda di Rinaldo fa parte anche Sabato, fratello di Onesimo e che è segretamente innamorato di Rita, alla quale poi palesa la sua passione.

   Nel covo dei briganti arriva un giorno il buon parroco di Giugliano, spinto a questa azione da Marta. Il prete viene ricevuto dal brigante Rinaldi al quale chiede la liberazione di Onesimo. Il malvivente non solo rifiuta, ma oltraggia il prelato. Lo stesso giorno Sabato sfida a duello il brigante e lo fa fuori.

   Sabato in seguito uccide anche don Piego Pincho, amministratore del Duca, anche lui infierì contro gli Onesimo. Morto il capo brigante Rinaldi, la banda si sfalda. Onesimo vien fatto fuggire dal fratello Sabato. Torna a Caivano dalla sua Marta, ma mentre è in attesa del ritorno dalla ragazza dal lavoro, da un valletto viene invitato a recarsi dalla bellissima marchesa Maria Amalia, che è invaghito del giovine, il quale prima resiste alle seduzioni della bella donna, ma poi casca ai suoi piedi.

   La Seconda Parte del lavoro è dedicata in modo principale alla storia dei possidenti, e dei Massa-Vitelli in particolare. «L’avaro è un demente». Con questa frase Mastriani comincia a narrare le vicende dello spilorcio Ciriaco Massa-Vitelli, il padre di Tobia. Quest’ultimo per impossessarsi dell’eredità dello zio marchese di Sant’Orsola, nella reazione borbonica del 1799, lo aveva denunciato come giacobino e il meschino venne trucidato dalle orde di santafedisti.

   Commovente la triste storia di Cecilia, figlia di Ciriaco e sorella di Tobia e Angelo. Cecilia, morta la madre Seconda, trascorre un’infanzia e una fanciullezza terribile, maltrattata dal padre e dai fratelli. A 15 anni avviene una svolta nella sua vita, va a villeggiare, grazie l’interessamento di una buona vicina di casa, nella casa di una nobildonna, a Sorrento prima e a Capri dopo. Cecilia rimane in seguito, diversi anni nella casa del principe F. Diventa una splendida ragazza e di lei s’innamora il figlio del principe, Eugenio, che è corrisposto dalla ragazza. Viene chiesto poi il consenso a Ciriaco padre di Cecilia per le nozze dei giovani, ma l’avaro, aizzato dai figli Tobia ed Angelo, che non vogliono perdere la dote della ragazza, che diventa loro se prende il velo, rifiutano il consenso, si riprendono in casa Cecilia, e la costringono ad andare in convento, e qui la ragazza tenta con tutti i mezzi di non prendere il velo. Subendo angherie di ogni genere. Alla fine diventa monaca, suor Maria, ma con qualche stratagemma riesce a vedersi spesso col suo Eugenio, purtroppo per loro vengono scoperti, così lui viene esiliato e Cecilia vien fatta morire di stenti. in tal modo i suoi fratelli ai appropriano della sua dote, avuta in lascito dalla madre. Muore anche Angelo il fratello di Cecilia, giustiziato per motivi politici. E cessa di vivere anche l’avaro padre dei tre figli, Ciriaco, in tal modo resta solo Tobia che diventa ricchissimo e potente. In seguito sposa una giovane per la sua ricca dote, Giacinta Emanuela, una persona, virtuosa, casta e docile e che fa poi morire di maltrattamenti dopo ch ha messa al mondo un figlio Filippo, che fin dalla più tenera età dimostra di essere un poco di buono.

   Nella Seconda Parte, nel cap. II, intitolato «Libertinaggio», inizia con la descrizione del personaggio Filippo, figlio di Tobia diventato duca. Uscito dal collegio viene avviato nella carriera militare, dove grazie a raccomandazioni, in età giovanile, diviene colonnello. A 25 anni sposa… una ricca dote, Rosalia, palermitana bruttina ma ricca. Ma nonostante sia sposato, continua a fare il libertino. Viene descritta la seduzione ad una donna del popolo, Antonetta, moglie di un sergente del suo corpo, Vitagliano Arezzi, che scoperto il tradimento, non inveisce contro il colonnello, ma ripudia la moglie. Poi in seguito il sergente si vendica in modo superbo: è lui a sedurre la moglie del libertino: la superba Rosalia. Il colonnello e l’Arezzi si sfidano a duello, ma vengono scoperti prima dello scontro e vengono puniti con la degradazione.   

    Comincia la fase discendente di Filippo Massa-Vitelli che s’invaghisce poi di una dama russa, Felicita la quale però cederà i suoi favori solo se l’uomo la sposa. A tal punto c’è l’ostacolo della moglie Rosalia e il libertino ne affretta la morte dopo che la donna si ammala gravemente.

   Morta la moglie , Filippo dopo tre mesi sposa la dama Felicita, ovvero la cerimonia avviene alla municipalità, ma il giorno prima del rito religioso, viene arrestato per un debito non pagato al cugino Luigi. Felicita si reca dal suocero Tobia per essere aiutato per la scarcerazione del marito, ma alla fine viene sedotta dal duca. Il marito resta in prigione e lei diviene l’amante del suocero, che però dopo tre anni la licenzia. La Seconda Parte del lavoro si conclude con la morte per colera di Filippo nel 1836.

   Nella Terza Parte, «Nazario o l’anima», ritroviamo Onesimo, Marta e Cecatiello il quale fa conoscere la madre di sua figlia, Rosa, poco prima della sua morte; la povera donna, idiota, era diventata uno “studio osteologico”. Marta subisce un grave dramma psicologico da questo avvenimento, la ragazza era già sconvolta dall’abbandono del suo Onesimo, divenuto l’amante della marchesa Maria Amalia.

   Nella Terza Parte ritroviamo Onesimo sulle barricate del 15 maggio 1848. Egli aveva abbandonato la sua amante, la marchesa Maria Amalia, dopo che costei aveva oltraggiato Marta che si era recata nella villa della marchesa appunto per cercare Onesimo, che ritorna al mulino della Mandriglia; la marchesa lo fa arrestare, sempre per l’imputazione di complicità nel’assassinio del duca Tobia. Ma dopo un certo periodo di prigionia, viene riconosciuta l’innocenza di Onesimo che lascia il carcere e rinuncia anche al lascito del duca di 30 mila ducati.

   Disfatte le barricate, Onesimo aveva trovato scampo grazie all’aiuto di Cecatiello, attraverso le vie sotterranee di Napoli, ma viene di nuovo arrestato, appunto per aver preso parte alle barricate del 15 maggio, ma Cecatiello riesce a farlo liberare grazie all’appoggio del direttore di polizia, il terribile Peccheneda, al quale confessa l’autore dell’omicidio del duca Tobia, e denuncia lo strangolatore il quale però non va in galera, infatti muore prima, durante una zumpata con un altro camorrista, Sciasciariello. Onesimo viene però mandato in esilio nell’isola di Capri, per una condanna di 15 anni di confino.

   L’ultima parte del lavoro inizia con la descrizione delle tribolazioni di Nazario, poeta, l’ultimo dei figli del fittaiuolo Gesualdo. Il quale viene allevato e istruito dal signor Vivenzio, un vecchietto molto altruista e dotto. Nazario diventa un bravo letterato e poeta grazie a questa brava persona. Alla morte del suo benefattore, per vecchiaia, il giovane viene aiutato da un altro tutore, don Giuseppe di Caivano. In seguito Nazario tenta l’avventura letteraria a Napoli, dove ci arriva con una piccola somma ed alcune lettere di raccomandatizia avute da don Giuseppe. In questa ultima parte si rivedono le due sorelle di Nazario: Rita muore di grave malattia in un ritiro, assistita da Marta. Francesca è invece l’amante del barone a cui Nazario si era rivolto per essere raccomandato per la pubblicazione di un suo poemetto. Sconvolto dalla scoperta, il poeta rinuncia a questa commendatizia. Finiti i soldi che si era portato da Caivano,  egli viene cacciato dalla casa ove è casigliano. Vende ad un editore anche il suo poemetto per la stampa e con il ricavato tira avanti qualche altro giorno. Finiti i soldi e dopo 24 ore di digiuno si ricorda che ha l’indirizzo di una brava persona conosciuta in un Biblioteca e da lui si avvia per chiedere soccorso, e nel prof. Gennaro Ab… abruzzese trova aiuto e patrocinio. Il professore riesce a trovargli anche un’occupazione, maestro di letteratura della giovinetta Matilde, figlia del suo compaesano abruzzese, Ludovico Olivares. In seguito il giovine poeta s’innamora perdutamente della sua allieva Matilde. Nazario ha poi successo come autore drammatico, un suo lavoro al Teatro Fiorentini, ha un vero trionfo. L’opera viene in seguito censurata perché ritenuta troppo spinta politicamente. Il padre di Matilde, decisamente santafedista,  non è entusiasta del dramma, e vuol liberarsi del maestro, a alla prima occasione che gli presenta lo congeda e questo avviene quando il giovane confessa il suo amore a Matilde. Dopo questo licenziamento Nazario torna nell’indigenza: miseria e fame. sta per morire quasi d’inedia; viene soccorso e aiutato da un pittore inglese, che lo assume poi come aio dei suoi figli.

   L’ultimo capitolo della Terza Parte del libro «Palingenesia», è dedicato al 1860, cioè l’anno dell’Unità d’Italia, e ovviamente viene citato più volte Giuseppe Garibaldi.

  Onesimo, grazie all’Unificazione del Paese, sconta solo 10 anni di confino a Capri; Marta si era trasferita a Napoli per stare più vicino a Onesimo quando era in carcere, e lo andava spesso a trovare a Capri; ma i due non si sposano. Lei diventa una brava infermiera presso gli Incurabili.

   Marta accudisce anche suo padre Cecatiello, diventato vecchio e acciaccato. Alla presenza della figlia, di Onesimo e Nazario, Cecatiello confessa di essere stato un ladro e anche complice del furto e assassinio del duca Tobia Massa-Vitelli. È un grosso colpo morale per la povera Marta e che l’avvicina alla morte fisica. Il romanzo si conclude con la morte per malattia di Marta e quella di Cecatiello per il dolore della perdita della figlia. Onesimo e Nazario, dopo la dipartita dei due, si trasferiscono in Inghilterra, dove Nazario segue il suo ultimo benefattore, il pittore l’inglese.

   Nel corso della trama ci troviamo degli eventi secondari, che esulano, diciamo così, dalla trama principale.  Alcuni episodi si svolgono sull’Isola della Botte dell’Arcipelago Ponziano. Qui ci sono dei detenuti in isolamento, e tra questi lo strangolatore, che è considerato il re dell’isola. E lui stesso s’incarica di gettare nel mare, dopo averla uccisa, il cadavere di Chiara del Cilento, creduta indemoniata, e la cui figlia Anastasia era stata uccisa dallo stesso Masto sempre per il solito «istinto di antipatia della specie». [2]

   Nella parte dedicata al colèra, Mastriani, oltre a descrivere un episodio personale, la morte della sua cara genitrice, e quella del padre, avvenuta pochi anni dopo, e che si fa dare sepoltura nel cimitero dei colerosi, vicino alla moglie, pur non essendo morto di colera; ci troviamo anche un altro evento, legato a questa malattia. Leopoldo seduce una ragazza, Bettina, ma non la sposa perché il padre, che è ricco e vuole una dote, non da il consenso, per cui il giovane abbandona la ragazza. Ma poi la sposa quando, colpita da colera, Bettina sta per morire. In pratica pensa di aver sposato un quasi cadavere.  In seguito si innamora di Sofia una ragazza pure giovane, bella, ma con dote. Nella sera dei loro sponsali compare incredibilmente la rediviva Bettina che era stata colpita solo da morte apparente. Così Leopoldo si trova con due mogli! Risolve il grosso problema suicidandosi con un colpo di pistola che gli fa saltare le cervella.

                     ROSARIO MASTRIANI

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[1] Francesco Mastriani, I misteri di Napoli, Napoli, G. Nobile, 1860, vol. I. pag. 454

[2] Ibidem, pag. 131.