UN MASTRIANI D’APPENDICE

   VITA E DISAVVENTURE DI UN PROTAGONISTA DELLA NAPOLI DELL’800

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   L’uomo che aveva scritto centosette romanzi, ottenendo un clamoroso successo di pubblico. Morì poverissimo nel 1869 [1] ‒ Per i funerali fu aperta una sottoscrizione dal «Roma» ‒ Il valore culturale della sua opera.

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   «Romanziere d’appendice che non solo è importante per la conoscenza dei costumi e della psicologia del popolo e della piccola borghesia partenopea, ma che rimane il più notabile romanziere del genere che l’Italia abbia mai avuto». Così Benedetto Croce definì Francesco Mastriani. Inoltre sottolineando come il popolo napoletano considerasse Mastriani «il suo filosofo educatore e vindice». Benedetto Croce aggiunse «Mastriani ebbe come lettori tutta Napoli, esclusa la gente letterata».

Oggi, a ottantasei anni dalla sua morte, Francesco Mastriani continua ad occupare un posto di rilievo nelle librerie e sulle bancarelle, specie dei quartieri popolari: «La cieca di Sorrento», «La sepolta viva», «La contessa di Montès», «Il barcaiuolo d’Amalfi», «La pazza di Piedigrotta», «I lazzari», «I vermi», «I misteri di Napoli» sono tra i titoli più richiesti. In questi ultimi tempi, inoltre, Mastriani è stato protagonista di un vero e proprio revival, non soltanto commerciale, ma anche critico, nell’ambito naturalmente della rilettura di quella particolare narrativa ottocentesca che viene definita «di appendice».

Costituisce senza dubbio, quello di Mastriani, un ritorno perfettamente meritato. Alla base dei feuilleton di Mastriani, il quale portò in un certo senso in Italia il mondo dei più celebri appendicisti francesi (come Eugene Sue, Saverio de Montepin, Ponson du Terrail) c’è la collaudata formula della «agnizione» e della «digressione». Le pieghe di ciascun romanzo, inoltre, si dipanano in labirinistiche storie di madri che si disfanno del «frutto della colpa» per poi ritrovarlo molti anni dopo nella perdizione, di nobilotti che sposano ragazze traviate e di figli spuri che ritrovano fratelli illegittimi: il tutto in un coro di camorristi, ladri, mezzani e carcerati che si redimono al momento giusto o che muoiono per poi resuscitare in seguito alle pressioni di coloro che seguivano a puntate, sui giornali, queste incredibili e ingarbugliate vicende. La differenza sostanziale tra Mastriani e gli «appendicisti» francesi sta nel fatto che il romanziere napoletano non sollecitava mai la morbosa curiosità e gli istinti cattivi del lettore e che se le pagine erano intrise di una gran quantità di proteste, protesta contro la pena di morte, protesta contro il mancato indennizzo ai carcerati ritenuti innocenti, protesta contro la mancata estensione della pensione di vecchiaia ai non statali. Non per niente, rilevando appunto tutto ciò, la moderna critica ha riconosciuto in Mastriani «una delle prime voci del socialismo italiano».

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    ORIGINI BORGHESI

   Autore di ben 107 romanzi, Francesco Mastriani nacque a Napoli il 23 novembre 1819 da una famiglia della piccola borghesia. La sua biografia assomiglia stranamente a quella di taluni dei protagonisti dei suoi libri. Fin da bambino Mastriani rivelò una eccezionale tendenza per il campo delle lettere: all’età di sedici anni, fra l’altro aveva già letto l’intera biblioteca del suo professore di francese, composta di quattrocento volumi. I suoi compagni di scuola lo chiamavano, per dilettoso dileggio, «lo storione»; del resto il ragazzo barattava col fratello Ferdinando, in cambio di un libro, il proprio diritto settimanale ad andare al teatro. Nelle ore di libertà, inoltre, Mastriani andava a intrattenersi nel «Caffè d’Italia», si sedeva accanto a comitive di turisti inglesi e li ascoltava attentamente. Con questo sistema imparò l’inglese; con espedienti più o meno simili apprese anche lo spagnolo, il tedesco e il greco.

   Rinunciando agli studi di medicina, verso i quali suo padre, un assistente edile, voleva avviarlo, all’età di diciotto anni si impiegò presso una società industriale e, nello stesso tempo, dava lezioni di lingue estere, scriveva articoli per giornali e componeva drammi che venivano rappresentati al teatro «Fiorentini». Nel 1847, tre anni dopo aver sposato sua cugina Concetta, Mastriani scrisse, pubblicandolo sul periodico «Il lucifero», il suo primo romanzo. S’intitolava «Sotto altro cielo» [2] ed ebbe immediatamente una gran moltitudine di lettori. La gente del vicolo, il popolo minuto si riconobbe subito nei personaggi di quel romanzo. Accadde, lì per lì, un fatto veramente eccezionale, i cantastorie del Molo, i quali fino a quel momento avevano letto al loro pubblico eterogeneo ma attento soltanto i canti del poema di Ludovico Ariosto, incominciarono a leggere anche i capitoli dei romanzi di Mastriani. Mai, fino a quel momento, a un autore vivente aveva arriso tanta popolarità.

   Nel 1851, quando aveva 32 anni, Mastriani scrisse «La cieca di Sorrento», quello che rimarrà il suo romanzo più celebre, e infatti fin d’allora, oltre all’edizione da lui autorizzata, ne furono stampate molte altre alla macchia. Pur affannandosi in un lavoro massacrante (portava perennemente in tasca una boccetta d’inchiostro, in maniera da poter scrivere in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo) Mastriani, sfruttato dai tipografi che riunivano in volume i suoi romanzi e, prim’ancora dai giornaletti che li pubblicavano a puntate (per ciascuna delle quali l’autore veniva compensato con due lire) era estremamente povero. Dei suoi quattro figli ne sopravvisse, per gli stenti, uno solo; addirittura lo scrittore, come la maggior parte dei napoletani meno abbienti, non riusciva a trovare nemmeno i soldi per pagarsi l’affitto della casa. Una biografia di Mastriani, scritta dal figlio Filippo, mette in rilievo soprattutto il fatto che lo scrittore era costretto a cambiare, di solito, un’abitazione all’anno.

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    IL «CATTIVO»

   Del resto in tutti o quasi tutti i romanzi di Mastriani la figura del personaggio «cattivo» è rappresentata spesso da un padrone di casa esoso che intima lo sfratto a un inquilino povero. Effettivamente a quell’epoca il padrone di casa costituiva un autentico incubo per molti napoletani. Nel romanzo «I vampiri» Mastriani scrisse: «Vorrei proprio domandare a quattr’occhi a quelli che si divertono a tenere in mano la solita cosa pubblica, di che canchero si occupano, da mattina a sera, quando non si occupano di far impalare una decina di vampiri (padroni di casa) al giorno». [3]

   Oltre a un impiego presso le dogane, oltre alle lezioni di lingua che impartiva agli studenti, Mastriani dovette accettare un incarico di compilatore presso il borbonico «Giornale delle Due Sicilie». Purtroppo, ammalato agli occhi, lasciava molti refusi nelle bozze. L’espressione «la gran festa della regina madre», per esempio, uscì stampata in questi termini: «la gran fessa della regina madre», e lui rischiò il licenziamento. La caduta dei Borboni, nel 1860, diede respiro un nuovo Mastriani, che finalmente con la «trilogia socialista» di «I vermi», di «Le ombre» e di «I misteri di Napoli», potè mettere in chiaro tutto il suo pensiero umanitario e sociale.

   Nel 1869, ormai sessantenne, minato dal catarro ai bronchi, dalle cateratte agli occhi e da un disturbo alla vescica, si trovò ancora in difficoltà col padrone di casa. Racconta il figlio Filippo nel libro biografico: «Conoscendosi pubblicamente le condizioni di salute e di mezzi del povero Mastriani, i padroni di casa (razza, meno le debite eccezioni, esecranda e maledetta) non vollero dare in fitto a mio padre neanche una buca. Dovette intervenire il direttore del «Roma» (il quotidiano su cui ora Mastriani pubblicava i suoi romanzi) e affittare per lui, una casa a proprio nome».

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    LA SOTTOSCRIZIONE

   L’uomo che aveva scritto 107 romanzi, morì il 6 gennaio 1891, e siccome i suoi familiari non avevano un soldo, i lettori del «Roma» dovettero fare un sottoscrizione affinchè potessero svolgersi i funerali. Tutta la Napoli piccolo-borghese e operaia quel giorno fu in lutto. Più o meno indifferenti si mostrarono anche in quella occasione, i letterati. Uno dei pochi, fra gli intellettuali, a dire una parola di solidarietà, fu il filosofo Giovanni Bovio il quale scrisse: «Dettando le ultime parole di quest’articolo, ho saputo la morte di Francesco Mastriani. Curò le ultime bozze e chinò il capo sugli scritti. Fu la individuazione di questo popolo napoletano: lavorare e sognare, soffrire pazientemente e morire. S’intendevano l’un l’altro: egli aveva visitato l’ultimo tugurio,  il popolo si riconosceva in lui. In altro paese sarebbe divenuto ricco; ma l’Italia, povera come lui, non merita rimprovero».

                                                                                           VITTORIO PALIOTTI

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[1] Mori non nel 1869, ma il 6 gennaio 1891 (nota di Rosario Mastriani).

[2] Non ci risulta che il romanzo Sotto altro cielo sia stato pubblicato per la prima volta in appendice sul giornale «Il lucifero». Per il Catalogo Generale della libreria italiana, venne pubblicato in volume nel 1847, ma non ne cita l’editore (nota di Rosario Mastriani).

[3] FRANCESCO MASTRIANI, I vampiri, Napoli. G. Regina, 1879, vol. I. cap. IV. «Un vampiro di primissima categoria», pag. 24 (nota di Rosario Mastriani).

.«Le ombre» 

   VITTORIO PALIOTTI (Napoli, 1930), è un giornalista, scrittore e commediografo italiano. Articolista de «Il Mattino» , studioso del fenomeno criminale della camorra, è un profondo conoscitore della realtà partenopea. Come giornalista esordì nel «Candido» di Giovanni Guareschi. Ha collaborato con i maggiori settimanali italiani («Oggi» «Epoca» «Gente») e i suoi libri sono tradotti in diverse lingue.